Barbara Catellani
Se l'attesa era per qualcosa di spettacolare, allora le aspettative non sono state deluse, questo è sicuro. E la vittoria è stata indiscutibilmente della regia, d'urto ma mai di cattivo gusto, di grande effetto e di grande impatto emozionale. Applausi a scena aperta per Mario Martone e per le scene di Sergio Tramonti, che hanno colpito nel segno, giocando magari su qualche perplessità di fondo che è rimasta al pubblico di fronte alla crudezza, si direbbe «neorealistica», di certe immagini; «l'orrido campo» con un patibolo in bella mostra o il macabro antro di Ulrica, tanto per citare le due più forti. O ancora il corteo funebre che ha accompagnato la statua di Riccardo, in un efficace contesto di cupa premonizione. Ma lo sgomento è risultato stimolante, soprattutto per chi ha raccolto il profondo significato della trasposizione storica della vicenda ad una irrequieta Boston di fine ottocento, percorsa da contrasti sociali e malumori politici infestanti: un'epoca che costituisce sfondo assai più dinamico e interessante, lontano dall'immagine del tutto convenzionale - o magari forse semplicemente di tradizione - che la vuole mollemente affondata in stucchevoli tendaggi rococò e pomposi velluti arabescati. Di grande effetto la scena degli specchi, vero e proprio «coup de théâtre», molto fine e ben costruito, che ha congedato il pubblico in maniera a dir poco originale.
Ma veniamo alla musica. La strabiliante partitura di Verdi è stata interpretata dal Maestro Luisotti con partecipazione ed intensità, forse troppa, specialmente nei momenti più «leggeri», non facendo emergere del tutto quel fecondo contrasto di stile e di linguaggio dello spartito, così sempre magistralmente in bilico tra alta drammaticità e aspetti definiamoli comici. Le voci hanno peccato in generale di scarsa cantabilità, forse anche per una scelta di tempi spinti, e di una non sempre impeccabile intonazione. Meglio l'interpretazione drammatica, che ha restituito gli intimi conflitti di così complessi personaggi - il triangolo Amelia Renato Riccardo - con un pathos che in certi momenti ha fatto rimpiangere che ieri sera la musica non fosse pienamente nelle corde dei protagonisti, dotati per altro di timbri interessanti. Molto convincente invece Larissa Diadkova, Ulrica, che ha creato un personaggio imponente, di forte personalità, dipingendone la dimensione quasi demoniaca; buona prova anche per Serena Gamberoni, che con ottima presenza scenica e voce agile ha dato vita all'Oscar frivolo e ingenuo, il perfetto contraltare allo straziante dramma di gelosia e vendetta. Chiusura di stagione comunque d'effetto che non ferisce l'anima artistica del teatro, che sempre raccoglie - occorre dirlo, con merito - la fiducia e la dedizione del suo pubblico.
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