L’orco che ha violentato la figlia per 24 anni

nostro inviato a Varese

Il Fritzl italiano è tarchiato, statura media, la pancia troppo gonfia di chi beve e mangia troppo. Il volto da satrapo. «Fa schifo solo a vederlo», sputa disgustato uno dei poliziotti cui è toccato ammanettarlo dopo averne ascoltato le confessioni. O perlomeno, una parte di tutta la sordida verità. Stupri, incesti, violenze consumate tra le mura di casa senza che nessuno mai si decidesse a parlare. Per oltre vent’anni la bambina di questo padre-padrone è stata «roba sua»: prima giochi erotici, poi le violenze sempre più complete fino a trasformarla, una volta adulta e donna sposata, in amante «quasi» consenziente. Plagiata, abusata al punto di considerare che far l’amore con papà fosse cosa normale. Non unica vittima: dopo di lei stessa sorte è toccata a sua figlia. Che adesso ha nove anni e da quando ne aveva sette era costretta a subire le pesanti attenzioni del parente.
Cantello è uno dei lembi del Varesotto che bussano alla Svizzera, quattromila e rotti abitanti sulla linea di confine. Chi può lavora dall’altra parte, paga meno la benzina e si guadagna stipendio doppio. Lui, insospettabile mostro dalla vita rispettabile e laboriosa, ora pensionato, in terra elvetica faceva l’operaio tessile, una bella casa in Italia, una moglie «sorda» e «cieca». E due figli, un ragazzo e una ragazza, oggi entrambi sposati, cui l’infanzia si è materializzata nei colori lugubri e i sapori acri dell’inferno. Lei ha poco più di trent'anni, da quando ne aveva otto cominciò a subire le attenzioni malate del padre. Sembrava che nessuno se ne fosse accorto. Qualcosa aveva intuito suo fratello. Che ai poliziotti della squadra mobile di Varese, guidati da Sebastiano Bartolotta, alla fine ha ammesso: «Quando eravamo piccoli vedevo papà portare la mia sorellina in camera, si mettevano a letto». Paura, omertà, vergogna, ecco gli ingredienti di questo cocktail perverso, una miscela nefanda capace di nascondere l’orrore per decenni. Fino a qualche mese fa. Era luglio quando la nipotina dell’orco cominciò a manifestare una serie di disturbi. Alimentari soprattutto. Mangiava poco, vomitava, soffriva di mal di pancia. Da qui una serie di esami clinici. Qualcosa non andava. Ma non si trattava di una malanno fisico. Stava ribellandosi l’anima violata. «Mamma, ma con l’esame del sangue posso rimanere incinta?», la scioccante domanda della piccina. Già adulta nell’età che dovrebbe essere quella dei balocchi. Un quesito - forse più una richiesta d’aiuto formulata con l’innocenza dei bimbi - troppo insolito per non insospettire chi per una vita aveva fatto finta di dimenticare. Più che un dubbio questa era una prova. Il padre, il nonno era tornato a colpire. È bastato poco per far parlare la piccina. Le violenze si consumavano nel garage di casa: il sessantenne l’aveva più volte toccata, l’aveva fatta spogliare per toccarsi a sua volta. Finendo con il più vigliacco dei ricatti: «Se dici qualcosa a tua madre io non ti vorrò più bene». Ecco scattare la denuncia, dopo una tumultuosa riunione familiare. Il pensionato nega, la moglie lo caccia di casa, la figlia si presenta in questura. E lo denuncia. Non per l’odissea perversa che aveva subito lei nell’arco di venticinque anni, ma per ciò che suo padre stava facendo alla sua bimba. Vigeva un patto, nemmeno troppo tacito, tra i due: «Non fare a mia figlia ciò che hai fatto a me. E io non parlerò». Un patto infranto.
Tre mesi di indagini e la testimonianza del fratello della donna hanno convinto gli investigatori. Nel frattempo il pensionato, trasferitosi nell’appartamento dell’anziana madre in Svizzera, aveva deciso di andare al contrattacco. Minimizzando, cercando di far passare le sue violenze come episodi occasionali. Si era addirittura presentato in Questura a Varese ammettendo di aver «giocato» con la piccola. Ma mai niente di grave. Quindi se n’era tornato oltreconfine. Fuggiasco senza pudore. Faceva lo stesso con sua figlia quando la costringeva ancora a soddisfare le sue libidini, incontrandola mentre il marito era al lavoro. Così come faceva, con lei ancora bimba inerme, adolescente poi e infine donna matura. La stuprava tre-quattro volte al mese. «Se parli dico a tutti che eri tu che ci stavi. Che mi provocavi». Lei, soggiogata, succube, taceva. Sulla base degli elementi raccolti, l’altro giorno il pm ha emesso un provvedimento di fermo che il gip Giuseppe Fazio ha convalidato ipotizzando la possibile reiterazione del reato.

L’orco, rinchiuso in carcere, nel frattempo ha confessato tutto. Ma a modo suo, cercando una giustificazione impossibile e disperata. Fino all’ultimo davanti agli inquirenti ha ripetuto: «Tutto sommato mia figlia ci stava». Aberrante, folle, come la sua esistenza allucinata.

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