L’ostentazione ormai non paga: per vendere meglio mamme che seduttrici

Nulla sarà più come prima. L’era della penitenza in stile loden, porterà rivoluzioni. D’ora in poi equità e sobrietà anche nella pubblicità. Gli spot cambiano volto insieme agli italiani. È l’effetto domino della crisi. Sono finiti i tempi dell’ostentazione: d’ora in poi sarà patrimoniale e austerità. Gli anni dell’ottimismo, gli eccessi, sono fuori moda. Oggi vince l’austerità, la pacatezza, il grigio. E i pubblicitari sono già all’opera, ti guardano con quegli occhi indagatori e ti spiegano: «In tempo di crisi economica i brand vogliono essere mamme rassicuranti piuttosto che suadenti seduttrici». Agostino Toscana, direttore creativo di Saatchi & Saatchi Italia, ha capito che non è il momento dei grandi balzi in avanti. «C’è un calo di coraggio da parte delle aziende», dice. «Si osa di meno e i committenti puntano su messaggi confortanti».
Fiutano l’aria nebulosa i creativi; analizzano gli umori di consumatori spaventati e abbattuti dal caro tasse, dall’incubo dell’Imu e dall’ossessione dell’Iva.
Gli addetti ai lavori studiano perfino i segni cinesi. «La parola crisi in cinese è rappresentata da un ideogramma composto da due parole, pericolo e opportunità - spiega Biagio Vanacore, presidente della Tp Associazione italiana pubblicitari - dunque dobbiamo fare nostro il secondo termine, perché dopo una crisi nulla sarà più come prima». Per questo i pubblicitari sono già in gara tra loro. L’onda anomala dell’austerity avanza, e a fronte di budget più limitati vince chi fa spendere. «Prima di sedurre, le nuove pubblicità dovranno dare informazioni reali sul prodotto. Informare, inviare messaggi giusti, etici», spiega Vanacore.
E sembra già di sentire nostalgia. Il nuovo mondo sa di minestrina della domenica sera dopo l’abbuffata. Abituati alle provocazioni, all’esaltazione del brand, ai messaggi eclatanti.
Oggi, resta solo lo strascico di una grande sbornia: si esalta il messaggio tradizionale. Stravince il basso profilo. La pubblicità al tempo della crisi ha un volto nuovo. Ripulito. Asciutto. «Tutto ciò che prima faceva parlare di sé, anche attraverso la trasgressione, oggi è un po’ all’angolo. Si va verso una pubblicità che va incontro ai valori» dice Alberto Contri, presidente Fondazione Pubblicità Progresso.
«Più che puntare sul Pil, in tempo di crisi emerge il concetto di “Fil” ovvero “Felicità interna lorda”, che non sta nell’accumulare e possedere le cose ma nel puntare su quelle utili».
«Già da un po’ di tempo - rimarca l’esperto - c’è attenzione alla responsabilità sociale delle imprese: molte aziende fanno leva su principi come verde e ambiente. Quelle che un tempo erano campagne sociali, diventano campagne pubblicitarie che puntano su risparmio e programmazione sul lungo periodo».
I pubblicitari «inevitabilmente seguono lo sviluppo o il decadimento culturale di un paese - aggiunge Contri - e l’Italia è in una fase di decadimento, nonostante lo stile di vita «made in Italy».


Cambia la nostra immagine, la pubblicità lo registra, la cattura, ne macina desideri e sogni da rivendere al dettaglio. Il pubblico è spento, annoiato. I pubblicitari vedono quello che gli altri non vedono, o meglio lo vedono prima.
E allora, se così sarà, che nostalgica, sobria tristezza.

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