Ci sono le elezioni da vincere, ma poi, subito dopo, ci sono le regioni da governare. E qui per Bersani e soci le cose si complicano ancora di più. Nella maggior parte dei casi, le coalizioni che sostengono i candidati governatori della sinistra sono alleanze elettorali che non trovano fondamenta nella politica. Esattamente quello che è successo all'Unione di Prodi il cui collante si è disciolto pochi mesi dopo la seconda presa di Palazzo Chigi. Prendiamo il Lazio. La candidata Emma Bonino, come noto, è del Partito radicale, che nella sua anima libertaria e antiproibizionista è assolutamente in linea di continuità con il governatore uscente Marrazzo e i suoi vizietti. Ma ciò pone però un ipotetico governo Bonino da subito in rotta di collisione con la componente cattolica del Pd, senza contare che l'altra faccia radicale, quella liberale e liberista, è nei fatti incompatibile con le ali radicali (Di Pietro in primis) del variegato schieramento.
Non diverso il pasticcio che potrebbe profilarsi in Piemonte in caso di vittoria di Mercedes Bresso, le cui possibilità di vittoria sono legate all'alleanza con Casini. Qui l'Udc ha compiuto il suo capolavoro di coerenza, mandando i cattolici a votare un governatore dichiaratamente e convintamente pro aborto, pro fine vita, favorevole alla sperimentazione della pillola del giorno dopo e alle unioni gay. Quanto può durare un simile governo se, una volta spartite poltrone e qualche appalto tra amici, un assessore o un consigliere Udc del Piemonte avesse un sussulto di coscienza non rimediabile in confessionale con tre Ave Maria?
Altro esempio, la Puglia. Massimo D'Alema, padrone del Pd regionale (decimato da scandali a luci rosse e tangenti) ha molte doti. Una su tutte. Vendicarsi a freddo su chi gli sbarra la strada. Basta ricordare cosa successe al povero Prodi durante il suo primo governo (D'Alema lo spedì a casa e si insediò al suo posto). Vendola, che ha osato sfidarlo sulla ricandidatura e lo ha umiliato alle primarie, insedierebbe di fatto un governo a tempo, quello necessario al pd dalemiano a farlo cadere con qualche trappolone.
In tutti e tre i casi non solo il Pdl può ancora farcela (i sondaggi delle ultime ore danno la sfida molto aperta), ma c'è un motivo in più per augurarselo. E cioè evitare che i conflitti interni a una sinistra eventualmente vincente portino alla paralisi del territorio, con ricadute gravi su imprese e famiglie. Il centrodestra, esaminando i risultati delle ultime consultazioni (politiche ed europee), ha i numeri dalla sua, ma a due condizioni. La prima è superare la tentazione del non voto che ancora oggi resta alta. La seconda è quella di evitare il voto inutile, quello a liste che non hanno alcuna possibilità di farcela a insediare il loro governatore. Problema questo decisivo in Puglia, dove una candidata di origine centrodestra, l'ex aennina Poli Bortone, si candida con una sua lista sostenuta da Casini per ripicca al fatto di non essere stata scelta come numero uno del Pdl che gli ha preferito Rocco Palese.
Nonostante i Santoro e le procure spione non c'è sintomo che il Popolo della libertà abbia voltato le spalle ai suoi leader e sia passato alla concorrenza. Anzi, la radicalizzazione dello scontro pare compattare le fila, come già accaduto negli ultimo sedici anni. Basta solo dimostrarlo domenica e lunedì nel segreto dell'urna.
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