Roma - Facce scurissime che mal si sopportano di giorno, figurarsi la mattina. Entra Romano Prodi e l’atmosfera scostante trova un punto focale. Nervosissimo, il premier siede senza una parola, mentre i commessi di Palazzo Chigi distribuiscono le rassegne stampa. Mosche e zanzare (poche) finiscono stecchite dalle cariche elettriche che si sprigionano al di sopra del tavolo dell’Unione.
Non è aria, lo si capisce. Prodi parla secco, anzi seccato. È breve, come conciso è il succo della questione: «Non crediate che soltanto voi siete preoccupati per il tonfo elettorale. Fatto sta che l’unica risposta che si può dare è affidata alla politica di questo governo. Io posso andarmene anche domani a fare altro, ma voi?». Ergo: basta polemiche, stringere i bulloni e pe-da-la-re. «Si fa come dico io». Che la situazione sia gravissima, ma non serissima emerge però con altrettanta chiarezza, al vertice che deve rilanciare l’Unione. Massimo D’Alema, per esempio, l’ha trovato pleonastico. Non scherziamo, Luna rossa contro New Zeland a Valencia, e il capitano di Ikarus II dovrebbe perdere tempo con quei perdigiorno degli alleati? Si fa mettere «assente giustificato» dal premier, e se la gode (mica tanto, perché Luna rossa perderà) su un gommone spagnolo. Francesco Rutelli, alfiere dell’attacco al Re, ha invece preferito un impegno istituzionale (l’assemblea degli industriali calzaturieri) a Milano. Provvidenziale: «Sono contento di essere qui», dichiarerà.
Molta della tensione si sprigiona sul caso Visco, perché l’ex Pm Di Pietro è un molisano cocciuto: «Visco ha torto, Visco ha torto», ripete. Deve intervenire il guardasigilli Mastella per sedarlo, e affidare il rovente faldone a Prodi. L’altra (alta) tensione si registra quando viene materializzato il fantasma del Partito democratico. Lo fa a modo suo, garbato e dunque più irritante, il socialista Boselli. «Romano, rassicuraci: ti rendi conto che la nascita del Pd sta creando fibrillazioni al governo?». I tre dell’Avemaria, la Sinistra nascente di Giordano-Mussi-Diliberto, entrano a gamba tesa. «Non se ne può più. Basta sceneggiate sul Pd e il suo leader... Così fate saltare tutto, già il governo è quello che è... ». Prodi risponde piccato: «È una pazzia confondere il Pd con il governo. I bilanci, per quanto mi riguarda, si fanno dopo cinque anni». Pecoraro Scanio gioca di rimando: «Però non si può negare che le difficoltà del Pd si ripercuotono sulla coalizione, non sarebbe meglio rinviarle? Ora preoccupiamoci dei problemi veri, ripartiamo dalla collegialità». «Non potete pensare che il Pd possa fare da solo la cabina di regia... Noi vi aiutiamo, ma in cambio chiediamo collegialità», aggiungono i Tre.
La «moratoria» nella guerra civile del Pd si fa strada, come e meglio che nella striscia di Gaza. Hezabollah e Fatah, fondamentalisti prodiani (uno, lui stesso) e movimentisti democratici (gli altri del Pd), si trovano d’accordo. Il ministro Fioroni (mariniano) accetta lo scambio proposto dalla Sinistra, ma lo butta in caciara: «Noi facciamo la moratoria sul leader, ma voi fatela sulle cavolate, tipo la collegialità dell’azione di governo». Si riaccende la mischia, finché il mediatore Fassino, l’unico che nel governo non c’è perché doveva coordinare il partito che non c’è, non mostra di prendere la tregua sul serio. Parla di temi concreti, pensioni e «tesoretto». Poi telefona al suo portavoce Giovannetti, ispirandogli una nota ufficiale con la quale, a metà pomeriggio, la segreteria ds cessa le ostilità. «Non intendiamo più partecipare a questa discussione infinita sulla leadership del Pd - scrive il portavoce di Fassino -. Quello che vogliamo e dobbiamo fare lo abbiamo detto e deciso tutti insieme l’altra sera nel vertice dell’Ulivo: dar vita a un Pd che serva al Paese e non al suo ceto politico. E comunque il tempo e il luogo di ogni decisione sarà la Costituente di ottobre... ». Piccolo particolare trascurato è che da quella riunione nessuno è uscito avendo capito le stesse cose.
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