L’Unione leva 100 ai «ricchi» per restituirne 10

Aggravio di 136 euro per un dipendente con moglie e 2 figli a carico che ne prende 30mila

da Roma

Una legge che toglie molto, restituisce poco e colpisce chi crea ricchezza.
Il governo ha cercato di «vendere» la Finanziaria all’opinione pubblica come un provvedimento di redistribuzione del reddito. Ma la dispersione di questa redistribuzione sulla fascia bassa dei contribuenti è talmente grande da farla risultare inutile e politicamente controproducente.
Luca Ricolfi sulla Stampa ieri forniva un efficace esempio: «Mediamente la riforma Irpef toglie meno di 100 euro al mese ai contribuenti sopra i 2.500 euro netti, per darne meno di 10 al mese a quelli che sono sotto i 2.500 euro. Le risorse così trasferite da un gruppo all’altro ammontano, più o meno, a 0,2 punti di Pil, e finiscono per essere sommerse dagli innumerevoli e ben più tangibili aumenti della pressione fiscale su famiglie e imprese, sia a livello centrale sia a livello locale (addizionali Irap-Irpef-Ici-tasse di scopo)».
L’analisi di Ricolfi è perfino lapalissiana, mentre più raffinata è quella proposta dal neonato think tank di studi economici e politici Epistemes (www.epistemes.org) che propone una lettura della Finanziaria per sfatare alcuni luoghi comuni che il governo ha cercato di spacciare come criteri scientifici incontrovertibili. Il primo «luogo comune è quello della non problematicità di inasprimenti fiscali applicati a contribuenti numericamente poco numerosi». Si tratta del cavallo di battaglia del viceministro Vincenzo Visco, l’architetto del nuovo sistema fiscale del centrosinistra. Ma per gli studiosi di Epistemes si tratta di un ragionamento che non tiene conto di alcuni fattori importanti. Leggiamo dal sito web di Epistemes: «Solo l’1,58 per cento dei contribuenti italiani ha un reddito annuo lordo annuo superiore a 70.000 euro. Si pensa, ma non si dice: sono pochi, quindi sono pochi voti. È vero, ma il confronto dovrebbe essere fatto non sul numero di contribuenti, bensì sul reddito da essi prodotto e sulle tasse pagate. Secondo dati riferiti all’anno d’imposta 2001 (dichiarazioni dei redditi 2002), e non significativamente modificati negli anni successivi, nel 2001 i contribuenti con imponibile superiore a 50.000 euro annui lordi erano il 2,5 per cento del totale, ma rappresentavano anche il 17 per cento del reddito totale, e producevano ben il 31 per cento del gettito complessivo Irpef. L’inasprimento di tassazione su questa fascia della classe media rischia di produrre contrazioni di gettito causate da aumento di evasione fiscale o da disincentivo all’offerta di lavoro e propensione a intraprendere». Un’impostazione liberale non avrebbe mai partorito una Finanziaria di questo tipo, decisamente antica.

Non a caso Luca Ricolfi critica «il tasso di arcaismo e di ideologia di una sinistra che, nel terzo millennio, pensa che far piangere i ricchi sia una meritoria priorità politica». E se anche i ricchi con questa Finanziaria dovessero piangere, i poveri di certo non ridono.

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