«L’Unione non ci può chiedere di uccidere l’industria italiana»

L’esempio della Fiat: dovrebbe modificare totalmente le sue auto o pagare multe per più di 380 milioni l’anno

nostro inviato a Bruxelles

Tre settimane fa, dopo che in Consiglio dei ministri aveva quasi annichilito i presenti dicendo senza peli sulla lingua «Ma vi rendete conto o no di quello che ci costerebbe? Quasi 170 miliardi di euro in 7 anni!», ad Andrea Ronchi fu affidata da Berlusconi quella che pareva una mission impossible: cercare una via d'uscita al pacchetto energia-ambiente, già bello e confezionato in quel di Bruxelles che all'Italia sarebbe costato una cifra, viste le innovazioni che comportava e la nostra assenza dal nucleare.
Oggi, alla vigilia del Consiglio Europeo che dovrà esaminare e, se del caso, varare quel provvedimento, il giovane ministro dei Rapporti con la Ue non si pavoneggia certo ed anzi si dice «per niente tranquillo» sulle prospettive che incombono sul sistema industriale italiano, ma dai e dai, lo ammette alla fine che un cuneo l'ha piazzato là dove albergavano certezze ed assolutismo ambientale di stampo simil-khomeinista. «Non credo ci si possa limitare ad una battuta per nascondere le nostre preoccupazioni - osserva pensando forse a Barroso, che la settimana scorsa non era stato tenero con le modifiche reclamate dal nostro esecutivo -; la crisi finanziaria mi pare sia tutt'altro che a breve termine e insistere con propositi eccellenti dimenticando la realtà, spesso produce risultati disastrosi...».
Ministro Ronchi, par di capire che lei speri ancora in una bocciatura sonora del pacchetto. O no?
«Io non metto in discussione la formula 20-20-20, perché la salute del pianeta non può essere di parte e tantomeno di un governo. Che il pianeta sia malato è sotto gli occhi di tutti e credo che interventi siano doverosi: più per un fatto morale che politico. Detto questo sono molto ma molto preoccupato degli effetti devastanti che quel tipo di pacchetto potrebbe procurare al nostro Paese dove persino la crisi finanziaria - visto che banche e famiglie italiane non sono corse dietro ai fenomeni speculativi - ci ha forse toccato, ma non sfondato. Cosa che potrebbe accadere col varo del combinato disposto delle norme messe a punto su energia e ambiente e sul Co2 delle auto».
Sicuro che finiremmo ko?
«Più di 23 milioni di euro l'anno, per 7 anni, il costo della diminuzione del Co2 nell'industria: acciaio, alluminio, cemento, persino le piastrelle. E lo sa quanto dovrebbe pagare di multa la Fiat se non fosse in grado di modificare le sue auto, il che costerebbe non poco? Multe di 380 milioni di euro l'anno. In pratica ci chiedono di estinguere la nostra industria automobilistica. E non è finita qui».
Ovverosia?
«Se ci fosse questo incremento di costi produttivi, non è che non si scaricherebbero su prezzi e bollette e dunque sui cittadini. Né è da scartare l'ipotesi che qualche azienda, piuttosto che pagare, delocalizzi. Il che non risolve certo i problemi, visto che l'anidride carbonica la si crea qualche centinaio di chilometri più in là. E allora dove stanno i vantaggi?».
A questo punto come se ne esce?
«La parola chiave è: profonda riflessione. Io non chiedo di azzerare tutto. Voglio anzi contribuire ad arrivare al fatidico 20-20-20, ma senza sentirmi chiedere di mettere la testa sotto la ghigliottina. Parliamone. Vediamo che si può fare in concreto. Né l'Italia è la sola ad avere seri dubbi, come prova il documento comune che per la prima volta hanno fatto in materia le Confindustrie di Italia e Germania. Come risulta da proteste di altri Paesi. Io lo dico senza alcuna remora: la fretta è nemica del bene. Quello che occorrerebbe è un puntuale e realistico check up della situazione industriale europea, specie dopo la crisi finanziaria che ha frenato le imprese. Non discuto, lo ripeto, la necessità di interventi per la salvaguardia del pianeta.

Ma non posso mettere a repentaglio o addirittura programmare la morte del nostro sistema industriale».
Berlusconi, domani in Consiglio, esporrà queste tesi. Basterà per una sospensiva?
«Confido nella presidenza Sarkozy. Vorrei che lo ricordassero anche a lui: la fretta è nemica del bene».

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