L’Unione si riunisce per litigare a porte chiuse

Rifondazione pronta allo scontro sulla «fase due»: «Altrimenti rischiamo»

Laura Cesaretti

da Roma

Il vertice dell’Unione convocato oggi da Prodi dovrebbe essere, negli auspici, poco più di una «parata», come dice il capogruppo Udeur Mauro Fabris. In pratica una photo opportunity di gruppo («Non a caso è stato scelto un bel fondale, il verde di Villa Pamphili», spiega Paolo Cento) per dare dopo settimane di passione l’immagine di una coalizione compatta e attorno al premier.
«Ne usciremo uniti», prevede ironico Mastella, «anche perché tutto quello che dovevamo dirci ce lo siamo già detto». I paletti per evitare la bagarre sono stati messi: tempi limitati al massimo, un solo intervento per ciascun partito (non per gruppo, altrimenti Ds e Margherita non si sarebbero messi d’accordo su chi far intervenire a nome dell’Ulivo). Tra i ministri parleranno solo Padoa-Schioppa, Santagata e Chiti. Prodi si è riservato le conclusioni, in modo da poter fare il mediatore se scoppiassero i conflitti politici che si vuol tenere sotto il tappeto. Ma il segretario Prc Franco Giordano sembra intenzionato ad aprire lo scontro con l’Ulivo, al grido di «sullo sviluppo e la crescita si è già dato anche troppo a Confindustria», sbarrando quindi il passo alla «fase due» di liberalizzazioni e riforme caldeggiata da ds e Margherita. Quindi non è detto che il dibattito non si accenda, anche se Fassino (che parlerà a nome della Quercia) si prepara a fare il pompiere per rassicurare un premier, lamentano al Botteghino, già «troppo nervoso», che «vede complotti ovunque» e «attacca pubblicamente proprio gli alleati che hanno fatto di più per tirarlo fuori dall’angolo in cui si era andato a cacciare sulla Finanziaria». Quanto a Rutelli, il vicepremier ha un impegno in Toscana e rimarrà assai poco al vertice.
L’unica cosa certa è che si aprirà la strada alla fiducia sulla Finanziaria, che tutti nell’Unione giudicano indispensabile per evitare lacerazioni, annunciando che verrà posta «in caso di ostruzionismo dell’opposizione», cercando dunque di consegnare il cerino alla Cdl. «La manovra verrà approvata così com’è», annuncia già Padoa-Schioppa. «Si prepara a dire no a tutti», spiega Cento, «contando proprio sul fatto che quando tutti chiedono è più facile rifiutare». Soprattutto, il premier vuole la garanzia che sia il decreto fiscale che la Finanziaria passino una sola volta al vaglio del Senato, e che dunque la Camera si impegni a non toccare nulla in seconda battuta: troppi rischi, a Palazzo Madama. Basta sentire un senatore Dl come Lamberto Dini, criticissimo sulla manovra. Ieri Dini ha improvvisamente fatto rialzare la tensione nell’Unione, aprendo alle «larghe intese»: «Un governo istituzionale o tecnico politico sono ipotesi che si stanno facendo nel caso disgraziato in cui il governo dovesse cadere». Dalla sinistra dell’Unione si è tirato l’allarme: «Il governo è a rischio, sono in atto manovre centriste per farlo cadere», denuncia Diliberto. Rifondazione attacca Massimo D’Alema, reo di aver dato una risposta troppo possibilista sulla questione: «Non siamo in cerca di un nuovo governo - ha detto -, ce n’è già uno che sta governando, affrontando difficili problemi. Ma mangeremo il panettone». «Che Berlusconi scommetta su un governo di larghe intese - gli ribatte Russo Spena - è ovvio.

Meno ovvio è che autorevoli esponenti della maggioranza come Dini si muovano sulla stessa lunghezza d’onda e che lo stesso D’Alema si limiti a constatare che un governo c’è già, invece di chiarire che in ogni caso non ci sarebbe spazio per larghe intese». Sarà difficile tenere la nube di sospetti e tensioni che incombe su Prodi lontana dal tavolo di Villa Pamphili.

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