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Lady Thatcher fa litigare ancora Londra

Lady Thatcher fa litigare ancora Londra

È riuscita a far litigare di nuovo tutti, anche oggi che ha 86 anni, confonde le Falkland con i Balcani e parla col marito Denis, morto otto anni fa. «The lady’s not for turning»: la signora non è donna da marce indietro, tuonò lei in un memorabile intervento in Parlamento - era il 1980, il secondo dei suoi undici anni a Downing Street - e da allora nulla sembra essere cambiato. Lady Thatcher soffre di demenza senile, ha chiuso il suo ufficio di rappresentanza alla Camera dei Comuni, non partecipa più ad alcun evento pubblico, ma la sua immagine divide la Gran Bretagna oggi come allora. Anche se di mezzo c’è solo un film. Una lady di ferro in versione cinematografica.
A scatenare il putiferio è «The Iron lady», la pellicola di Phyllida Lloyd con una Meryl Streep armata di accento British, collana di perle, tailleur blu elettrico, spilla al petto e interpretazione da Oscar, dicono gli esperti. La sua recitazione mette d’accordo tutti ma il copione spacca il Paese come spaccò il Regno Unito tra il 1979 e il 1990. Gli ex collaboratori della Thatcher sono infuriati per i passaggi che raccontano il presente triste dell’ex primo ministro, la sua malattia, i vuoti di memoria, la solitudine, i dialoghi senza risposta col marito morto. «Un insulto alla sua immagine», dicono. Di più: «Una fantasia di sinistra». I nemici di «Lady T» non digeriscono invece il racconto intimistico, che dimentica o nasconde la vita fuori dal palazzo, le lacerazioni sociali dell’era Thatcher, gli anni degli scioperi a oltranza e dei licenziamenti sfrenati.
Margaret Thatcher resta «mostro» o «messia». Nessuna via di mezzo. Per qualcuno è il mostro che ha aperto la strada al liberismo sfrenato, senza regole e contrappesi, per qualcun altro è il messia che ha riportato Londra agli antichi fasti e le cui ricette su Europa ed economia potrebbero salvarci da questi tempi bui.
La più amata e la più odiata, «Maggie» è ancora oggi una delle leader più insultate della storia (parola del Times) ma anche una delle più riverite: un modello, un tormentone, un punto di riferimento. Non passa giorno senza un tributo, un riferimento, un confronto alla sua storia e alla sua figura. Sarah Palin si fa avanti sulla scena americana e di lei si dice: «È la Margaret Thatcher dell’Alaska». C’è da affrontare l’emergenza negli stadi e tutti invocano «la ricetta Thatcher». Sarkozy fa il duro con i sindacati e lo definiscono «la Thatcher in pantaloni». Boris Johnson diventa sindaco di Londra e di lui dicono: «È il politico più potente dai tempi della Thatcher». Non passa giorno, insomma, che la Lady di ferro non venga citata, tirata per la giacchetta, blandita. E maltrattata. In patria la stampa progressista - Guardian in testa - si riferisce ancora a Lady T come alla «ladra di latte per bambini» (per tagliare i costi delle scuole, abolì il latte gratuito agli studenti tra i sette e gli undici anni) e trasuda rancore infinito. Un rancore che non si è placato nemmeno quando l’ex premier è finita in ospedale tre anni fa. Sul Guardian Michele Hanson si è infuriata per le troppe attenzioni concesse a Lady T: «Ci ricorderemo chi è stata? La famosa scippatrice di latte per bambini, la folle privatizzatrice che aveva una convinzione quasi religiosa che il mercato fosse il meccanismo perfetto dell’organizzazione sociale, che pensava che la nuda ambizione fosse un bene, che sapeva come far leva sui nostri più spregevoli desideri, che ci ha trasformato in una nazione di orrendi egoisti». Inutile aggiungere perché ogni volta che si parla di concedere funerali di Stato all’ex premier, il dibattito si arena per eccesso di rissa.
Eppure il fascino di Lady Thatcher ha folgorato anche uno dei leader più duri e puri del Labour, l’ex premier Gordon Brown, che la invitò a Downing Street: «Di lei ammiro il fatto che sia un politico di convinzioni», disse. E via con la passeggiata davanti ai fotografi. Prima di lui, l’Economist lanciò il suo endorsement in occasione della seconda candidatura di Tony Blair con un’immagine di copertina inequivocabile: il leader del Labour con orecchini di perle e capelli cotonati. Il messaggio era chiaro: votate lui, avrete una Thatcher in pantaloni, efficiente e decisa. Meno deciso è stato invece David Cameron. L’eredità controversa e ingombrante di Lady T gli ha creato qualche imbarazzo a inizio carriera, quando doveva convincere il «centro» di essere un conservatore «compassionevole».

Poi il riavvicinamento: «Saremo radicali nella riforma della società come la Thatcher lo fu nella riforma dell’economia».

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