Lange e il suo «atlante» delle sofferenze

Esposte fino all’8 gennaio 53 tele del giovane artista sudafricano esule in Europa a causa dell’apartheid

Fedora Franzè

È la prima personale in Italia per il giovane artista africano Moshekwa Langa quella appena inaugurata nella sede del MAXXI assieme alle mostre di architettura di Paolo Soleri e Toyo Ito. Vi sono esposte 53 opere su carta delle quali molte eseguite appositamente per l’occasione. Sono lavori realizzati con tecniche diverse che costituiscono non solo la somma dei vari modi di pensare l’immagine da parte dell’artista, ma un insieme che marcia unitamente, al modo di una grande installazione.
Ne fanno parte ritratti di uomini con grandi volti dai tratti semplificati e una specie di sasso per cappello. Il segno è grosso, sommario come quello espressionista, ma la riduzione dei corpi e delle facce a maschere primitive non ne richiama l’aggressività né l’ansia esistenziale. Piuttosto vi è fotografata una pena del vivere, dignitosa, diretta, storicamente circostanziata, che mira allo sguardo dell’interlocutore con una serenità che lo fa quasi vergognare. Nato in Sudafrica nel 1975, vissuto nella griglia dei confini delle homeland tracciati dalla segregazione razziale, Langa è emigrato nel 1996 (nell’immediato post-apartheid) ad Amsterdam, e si è imbevuto di cultura pittorica e letteraria europea, già conosciuta negli anni della formazione africana. Dell’esistenza «delimitata» artificialmente Langa porta la traccia nelle sue mappe, elementi di un progetto a cui lavora da due anni: un atlante tridimensionale nel quale confluiranno i collage, le cartine geografiche immaginarie, le mappe astrali dei fili che incolla sulla carta.
Una geografia umanissima come quella dei destini individuali può essere tracciata dall’impersonalità di una politica che redige elenchi, nelle opere esposte sono i nomi leggibili o cancellati - perentoria immagine della violenza -, e definisce arbitrariamente itinerari, tradotti dall’artista in vettori che indicano la direzione degli esili.
Molte le risonanze che mostrano l’assimilazione dell’arte delle avanguardie europee come pure dell’espressionismo astratto americano; in modo particolare le composizioni in cui l’artista gioca con il filo, materiale ricorrente, e il colore a volte sgocciolato sulla carta o piuttosto steso in ampie campiture diluite o usato per segnare fortemente l’immagine.
In questi casi Langa mostra di saper dosare magistralmente l’illusione della profondità, utilizzando la medesima tecnica per opere che si danno tutte sulla superficie, legate alla gestualità del dipingere e del comporre sul piano, e altre in cui le emozioni hanno la durata del racconto, comprendendo il tempo dell’emersione da un fondo che forse è l’inconscio, forse la memoria personale.
Declinando diversamente un mondo immaginario in cui confluiscono senza cesura sia la narrazione privata che l’esperienza storica, l’artista viaggia nella figurazione e nell’astrazione con libertà e rigore.


L’apporto della mostra in corso alla conoscenza di Moshekwa Langa è considerevole: l’artista è noto al pubblico europeo e americano per le colorate, in apparenza disordinate, installazioni, per i video e le fotografie, molto meno per l’opera pittorica, qui dispiegata nella sua multiforme gamma di segni.
Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Via Guido Reni 2. Info: 06.3210181 Orari: 11-19 (lunedì chiuso), fino all’8 gennaio 2006. Ingresso gratuito.

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