rchitetto e pittore, Pellegrino Tibaldi nasce a Puria di Valsolda, ma inizia la sua attività di pittore a Bologna, alla scuola del Bagnacavallo e sotto la forte suggestione di Parmigianino. La sua formazione si compie a Roma dove, a fianco di Perin del Vaga, di Daniele da Volterra e di Marco Pino, lavora negli appartamenti di Paolo III a Castel Sant'Angelo e nella cappella dei Rovere a Trinità dei Monti. Prima di applicarsi all'architettura in diversi luoghi d'Italia, da Ancona a Pavia, a Milano, a Novara, ponendosi nel solco di Michelangelo come si vede nel collegio Borromeo a Pavia, nella chiesa di San Fedele a Milano, fino all'Escorial, Tibaldi matura una ricerca pittorica assolutamente originale, di cui dà prova a Bologna in Palazzo Poggi.
Per la prima volta il michelangiolismo non si traduce in una espressione di potenza muscolare, in concorrenza con le arti plastiche, ma si trasferisce in una dimensione onirica dove il racconto, in particolare quello mitologico dell'Odissea, si fa sogno. Con gli affreschi di Palazzo Poggi, Tibaldi apre e chiude il suo confronto con Michelangelo, molto diverso da quello di Daniele da Volterra e Marco Pino. In Palazzo Poggi, per desiderio del committente, Tibaldi, si misura con Niccolò dell'Abate, pittore che esprime temi della vita di corte avendo negli occhi piuttosto Parmigianino che Michelangelo. Niccolò dell'Abate esibisce feste, banchetti, concerti, illustrando la vita contemporanea e non il mito. Tibaldi invece interpreta la cultura di Giovanni Poggi, e la celebra in chiave allegorica con le Storie di Ulisse. La forza di Michelangelo è applicata non più a soggetti religiosi, ma a soggetti mitologici, e si orienta in una dimensione visionaria del tutto aliena dal formalismo toscano anche nelle personalità più abili di Francesco Salviati e Giorgio Vasari. Tibaldi sprigiona una energia e una fantasia espresse in forme michelangiolesche che sono i risultati più alti dell'intero Manierismo. Nell'episodio di Ulisse e Circe, risolto con un eleganza che non teme il confronto con Parmigianino, la figura sinuosa della donna richiama le Allegorie delle Tombe Medicee, ma non c'è l'imitazione, bensì la ricreazione. Pellegrino disegna e dipinge in stato di grazia, incastonando le sue storie in cornici di stucco bianco dorato, con una deformazione che sembra la conseguenza dell'alterazione psichica, come sotto l'effetto della droga.
Nessun manierista, se non forse il Pontormo della Deposizione di Santa Felicita, ha mostrato una concezione così insolita e originale.
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