Grande entusiasmo allo Stabile per il ritorno di Tullio Solenghi sul palcoscenico che ha visto la sua formazione. «Una telefonata che mi aspettavo - dice lattore genovese - e che mi ha fatto tanto piacere, come il rientrare in questo teatro e ritrovare gli amici con cui ho condiviso gli anni di studio».
Loccasione di questo richiamo lopera più nota del Ruzante, il Moscheta, un classico della comicità, una commedia paragonabile a quella coeva di Machiavelli, «La Mandragola», che affronta temi e situazioni farsesche disegnando allinterno di queste comportamenti e psicologie di personaggi totalmente italiani. Solenghi col suo consueto humor dice scherzando: «Hanno aspettato 30 anni per rifilarmi il Ruzante, vabbè, accettiamo anche questa sfida. Affrontare le sfide e quello che più mi piace in questo mestiere, che non si può prendere in giro. Un mestiere che non perdona chi non lo sa fare bene. Io qui sono la chioccia, attorniato da giovani colleghi davvero bravi e che mi fanno tirar fuori la voce».
A quanto pare, come dice il direttore Repetti, latmosfera non è triste, e questo ritorno sia alla presenza di Solenghi in compagnia che al testo del padovano del 500 riporta alla scoperta e rivalutazione di quella drammaturgia italiana che non è mai stata abbastanza considerata. Il regista è ancora una volta Marco Sciaccaluga che con soddisfazione racconta la passione scaturita dal suo lavoro nel Moscheta. «Come in altri casi, qui ci troviamo davanti ad un grande genio che non ha avuto lesito di mercato che merita. Del resto anche il Don Giovanni di Molière ha la fama di essere un grande capolavoro che non funziona teatralmente, ma siamo qui per smentire. Funziona Don Giovanni, come funziona Moscheta, lunico problema di questultimo poteva essere la lingua, che ha molto ostacolato la sua messa in scena, una lingua che fa paura e con cui lo stesso Dario Fo aveva avuto dei problemi anche in terra padana. Abbiamo provato a purificare questa lingua, grazie anche alla revisione di De Bosio, mantenendo però la sua peculiarità. Se la si tratta con rispetto è un grande mezzo di comunicazione teatrale».
Insomma quello che viene fuori ascoltando gli addetti ai lavori è che si abbia a che fare con una grande opera, di un grande teatrante che propone un teatro dal gran respiro di libertà e di pensiero. Un testo che racconta unepoca che sta sognando la liberazione dal bigottismo religioso, e che presenta un ritratto di noi italiani, di quella rozzezza pregna di sessuomania che ci fa ridere di noi stessi. Una rozzezza però che ha insieme furbizia e intelligenza e che riporta alla commedia allitaliana del ci-nema anni 60/70.
«Senzaltro Risi e Monicelli hanno preso molto da questo tipo di teatro - continua Sciaccaluga - ed è proprio a loro che dedico questo spettacolo». Assieme a Solenghi nel ruolo di Ruzante, un cast tutto Stabile di Genova, il meglio, come dice Repetti, al servizio di uno spettacolo che divertirà il pubblico.
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