Cultura e Spettacoli

Il lato meno oscuro di Thomas Pynchon

Vizio di forma è un poliziesco canonico e quasi solare, lontanissimo dagli umori catastrofici del post moderno

Se vi siete sempre tenuti a distanza dai romanzi di Thomas Pynchon, il suo nuovo libro Vizio di forma (Einaudi, in uscita martedì prossimo) può essere un ottimo inizio per conoscere da vicino uno dei maggiori scrittori contemporanei. Da molti considerato il padre della letteratura postmoderna, di quella narrativa capace per prima di delineare le coordinate emotive di una società perennemente vicina al collasso morale, questa volta l’autore ci regala un’opera di facile lettura: almeno apparentemente. Un noir alla Raymond Chandler per le atmosfere più cupe, ma pirotecnico alla Hunther Thompson per le ambientazioni lisergiche. Protagonisti sono avvocati strafatti di canne, grupies indecise se diventare ragazze o restare eterne adolescenti, bande di motociclisti ingaggiati dalla malavita e un poliziotto corrotto sempre al soldo dell’ultima illusione.
Vizio di forma (titolo italiano incredibilmente uguale a una raccolta di Primo Levi di racconti fantabiologici straordinari ma purtroppo quasi sconosciuti) è un romanzo esilarante, potente, uscito dalla penna di uno scrittore che non ha remore nel demolire gli anni Settanta made in Usa, pur colorandoli di tutta la loro energia. È lo sguardo disincantato del poliziotto Doc Sportello a raccontarceli: attraverso i finestrini della sua auto scassatissima che va in pezzi come sembrano andare in pezzi i sogni di un mondo sempre vissuto all’ombra di Doris Day e incapace di reggere a una realtà perennemente a colori.
Il protagonista è appunto Larry «Doc» Sportello, ventinove anni, la versione pynchoniana, drogata e sniffatrice, del classico detective privato alla Sam Spade o alla Lew Archer di Chandler. Larry viene contattato da una sua ex, Shasta Fay Hepworth, per quella che, a prima vista, sembra un’inchiesta senza rischi: indagare su chi vuol rapire il suo nuovo amante, il magnate immobiliare Mickey Wolfmann. Ma, come nella più classica delle detective stories (e lo scopo di Pynchon, qui, sembra essere proprio la costruzione della tipica trama poliziesca) ciò che in apparenza sembra buono, non lo è affatto. Contiene un difetto congenito, di fabbricazione. Perché «tutto ciò che sembra funzionare meglio, presenta sempre un vizio di forma».
In quello che da molti critici americani è stato definito il libro più godibile e divertente di Pynchon (e divertente, questa volta, lo è davvero) e che dal pubblico è stato consacrato come uno dei romanzi di maggior successo dello scrittore (che forse, come ha osservato qualche maligno, mirava proprio a quel pubblico da spiaggia che non aveva mai saputo conquistare), l’autore americano si riscopre pop e mainstream. Un’ispirazione che sembra, anche se con Pynchon siamo sempre nel campo delle ipotesi, di matrice autobiografica. L’autore di Mason & Dixon se la spassa, attenendosi al genere letterario scelto, in un romanzo-giostra dalla vena «leggera» molto lontana da quella piena di allusioni dei suoi grandi affreschi (dal primo romanzo V. a L’arcobaleno della gravità fino a Contro il giorno, il romanzo che precede di pochi anni quest’ultimo), limitandosi a un breve periodo storico, quello tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, a molti clichè e a una storia di avidità, lussuria e omicidio che, come è stato osservato dal New Yorker, «sembra un canto nostalgico rivolto a quella California freak patria della controcultura, degli hippies, della rivoluzione sessuale, delle droghe, della libertà esistenziale». Una sorta di Atlantide scomparsa dalla geografia del mondo.
Più che a un classico della letteratura postmoderna, sembra di assistere a un Grande Lebowski immerso nelle atmosfere rilassate, sonnolente e sensuali del Chandler del Lungo addio nella versione realizzata da Altman. E Vizio di forma è anche il romanzo che svela più cose dello scrittore più riservato d’America, certamente più del «fantasma» Salinger. Il libro è ricco di citazioni rock-and-roll che svelano anche molto della cultura e dei gusti musicali di chi l’ha scritto: Electric Prunes, Pearls Before Swine, Rolling Stones, Beatles, Frank Sinatra, Beach Boys, Roy Rogers.
Anche se molti pynchoniani di ferro faticheranno a ritrovarvi il loro autore di culto, il romanzo è tuttavia pieno di elementi pynchoniani, a partire da quelle incrinature, da quella scrittura complessa e labirintica che ha contribuito a rendere celebre Thomas. Non mancano, ovviamente, alcuni temi chiave della sua opera, come la paranoia, la critica ai controllori della società e ai detentori dell’ordine. Al termine della vicenda poliziesca non è del tutto chiaro se i pezzi che compongono il puzzle sono stati tutti rimessi a posto. Dialoghi veloci, trama intricata, decine di personaggi dal mondo dei bassifondi e la classica sensazione di ogni noir che si rispetti, e cioè che il mondo stia andando all’inferno.
Un Pynchon accessibile e addomesticato, quasi una risposta a tutti quelli che si lamentavano del fatto che i suoi libri fossero illeggibili e avevano dovuto abbandonare L’arcobaleno della gravità dopo un centinaio di pagine. Qui non succede. Anzi. La risposta è esagerata, eccessiva, impulsiva ed esplosiva.

Forse non è il romanzo per cui Pynchon sarà ricordato (il libro, ovviamente, ha incontrato critiche discordanti in America), ma sicuramente è il più spassoso.

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