Dal 26 maggio prossimo, Marco Parlangeli entrerà nella carica di presidente della Efc (European Foundation Centre), l’associazione che riunisce 230 Fondazioni europee. L’incarico è significativo perché mai come adesso le Fondazioni bancarie italiane sono state al centro del sistema economico. E Parlangeli, direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi, in questa intervista al Giornale , sottolinea gli aspetti più rilevanti di questo passaggio.
Un italiano al vertice delle Fondazioni europee: cosa significa?
«Significa che le Fondazioni italiane stanno assumendo un peso sempre più rilevante nel movimento del non profit europeo, e questo proprio grazie alle Fondazioni bancarie».
Ma qual è il compito dell’Efc?
«Una delle cose più rilevanti è il contributo al progetto dello Statuto della Fondazione Europea, un documento comunitario che diventerà il riferimento per il Terzo Settore in termini di pratiche di sicurezza, trasparenza, comportamenti. Il testo, dopo lunga gestazione, è alla Commissione Ue, che potrebbe dare il via libera entro l’anno».
La Statuto Europeo diventerà vincolante?
«No, non sarà obbligatorio ma semplicemente raccomandato, perché nel terzo settore vogliamo limitare al massimo i vincoli: ogni Fondazione è un mondo a sé e viene gelosamente tutelata la piena autonomia nel perseguire i propri scopi. Però, per tutte le Fondazioni che aderiscono all’associazione è richiesto di sottoscrivere uno stringente codice etico».
Crede che la nostra legislazione sia adeguata e che le Fondazioni italiane siano al passo con quelle dei maggiori Paesi europei?
«In passato dissi che le Fondazioni bancarie erano figlie di un Dio minore. Mi riferivo alla diffidenza fiscale e giuridica rispetto a Paesi con maggior tradizione nel non profit come Inghilterra o Belgio. Oggi, grazie al lavoro dell’Acri e del suo presidente Giuseppe Guzzetti, le Fondazioni hanno guadagnato importanza e respinto gli attacchi alla loro autonomia. Tuttavia in molti Paesi la normativa fiscale resta più favorevole rispetto all’Italia».
Forse perché da noi la parte del Leone la fanno le fondazioni bancarie, che hanno incassato fior di dividendi. A proposito: la Fondazione Mps ha la maggioranza relativa della sua banca. Lei crede che questa concentrazione sia un punto di forza?
«Sì e me lo conferma uno studio dell’Università di Heidelberg secondo il quale le Fondazioni con il patrimonio concentrato in una sola partecipazione in impresa redditizia e legata al territorio, nel lungo periodo sono più efficienti e generano più ricchezza. Il problema ce lo siamo posti a Siena tre anni fa al momento di acquistare Antonveneta ».
E tre anni dopo?
«A mio parere abbiamo fatto bene: Antonveneta ha dato risultati e ne darà, ha consentito a Mps di ampliare la distribuzione territoriale del proprio franchise e di diventare la terza banca italiana».
Adesso, dopo l’aumento di capitale di 5 miliardi del 2008, la banca ne ha varato un altro da 2. Per Fondazione Mps c’è da investire un altro miliardo. Ce la farete?
«Da un lato l’aumento permette di liberare risorse perché la banca non dovrà più pagare le cedole dei Tremonti Bond. Dall’altro il piano d’impresa prevede due miliardi di dividendi in 5 anni: dunque recupereremo il miliardo necessario a mantenere sostanzialmente la quota attuale. Quello di oggi è un investimento per le generazioni future».
Venderete la quota dell’ 1,9% in Mediobanca?
«È presto per dirlo. Al momento non sono ancora noti i termini economici dell'aumento di capitale».
Come farete le erogazioni?
«Ci sono le riserve accantonate nel fondo stabilizzazione delle erogazioni per 115 milioni, accumulate negli anni passati e il dividendo da 100
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