Lavoro nero in Parlamento I politici: vabbè, siamo in Italia

da Milano

La verità la racconta Carlo Ciccioli di An: vero, se un imprenditore di Treviso venisse beccato con 500 operai in nero rischierebbe grosso, «ma l’imprenditore di Treviso produce lavoro, noi politica». E allora che c’è da stupirsi, se alla Camera solo 54 assistenti di deputati su 683 hanno un contratto regolare. Giusto il ministro per l’Attuazione del programma Giulio Santagata s’è indignato: «Era stato chiesto ai parlamentari di regolarizzare tutti i loro assistenti. Si sono comportati in maniera diversa. È un fatto molto grave». Il ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero, Prc, invece ha detto di non voler giudicare ciò che accade in Parlamento, «visto che sono al governo». Alla fine è toccato a Carlo Leoni, Ds, vicepresidente della Camera, fare mea culpa: «Bisogna suonare un campanello d’allarme: deputati e senatori che dovrebbero approvare leggi contro la precarietà e il lavoro nero, sarebbero i primi a ricorrere a pratiche di impiego illegali e irrispettose della dignità umana».
Puntata delle Iene di ieri sera, se non si trattasse del Parlamento ci sarebbe da ridere. I dati li fornisce Sergio D’Elia, l’ex terrorista deputato della Rosa nel pugno e membro dell’ufficio di presidenza della Camera. Ad ammettere di trovarsi in situazione più che precaria, 800 euro al mese senza tredicesima né ferie con un ritmo di lavoro fra le otto e le dieci ore al giorno, ci sono due portaborse, uno per schieramento, par condicio. I deputati, loro, di fronte alle domande della iena Filippo Roma se non possono glissare negano, o dicono di non sapere.
Franco Giordano il segretario del Prc è il più netto: «I dipendenti alla Camera sono tutti in regola». Mario Landolfi di An, presidente della commissione di Vigilanza Rai, dice di avere un solo collaboratore in regola e ha le prove, cioè il collaboratore stesso, che conferma: «Dovete prendervela con chi non contrattualizza i volontari». Orazio Licandro del Pdci non fa una piega: ma quali assistenti, «noi abbiamo i compagni sul territorio, io non ho collaboratori a mie spese». Quasi come Francesco Saverio Romano, Udc, che se la ride: «Sono un self made man». E che ci fa con i 4.150 euro a disposizione? Sorriso beffardo: «Risparmio».
L’intervista a Cinzia Dato della Margherita va così. Domanda: che tipo di contratto ha fatto? Risposta imbarazzata: «Non so, chiedetelo al mio assistente». Lei è il datore di lavoro e non lo sa? «È lui che si occupa di queste cose». Quanto lo paga? E i contributi? «Non so, chiedetelo a lui». O al commercialista, consiglia Sabatino Aracu di Forza italia. Se alla fine Cinzia Dato ammette che sì, càpita che qualcuno venga pagato «una tantum», perché magari son giovani che «lavorano gratis et amore dei», il pressing aiuta altre confessioni. Fasolino, Fi, in verità è un po’ confuso: «Do 1.500 euro». Con contratto? «No, senza». In nero? «No, con contratto». Pietro Marcazzan, Udc: «Se il collaboratore mi chiederà di essere regolarizzato procederò». Teresio Delfino, Udc: «Ho un collaboratore, è tutto a posto». Ma come lo paga? Silenzio, sorriso: «Con un foglio».

Il più sincero è Ciccioli di An: «La politica ha grossi costi quindi ci si arrangia con una serie di persone che hanno il doppio, triplo lavoro e viene dato un rimborso spese...». Fuori busta? «Rimborsi spesa, ci si aiuta...» In nero? «È quello che succede, è l’Italia».

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