La Libia infanga lonore nazionale, è tempo di lavarlo dichiarandole guerra. Calma: non è un comunicato del governo di Roma, e nemmeno di qualche partitino italiano di estrema destra. Tutto questo tuonare e sferragliar darmi viene da un Paese solitamente assennato e pacifico: la Svizzera. Più precisamente da Boris Bignasca, un giovane deputato della Lega dei Ticinesi al Gran Consiglio, il Parlamento cantonale di Bellinzona. Degno erede di Giuliano, fondatore del partito cugino della padana Lega Nord: un tipo sanguigno abituato a tuonare contro linvadenza degli stranieri, italiani compresi, nel vicino cantone e a lanciare campagne per lincardinamento nella Costituzione elvetica del traballante segreto bancario.
Il giovane Boris ha colto al balzo la palla della crisi tra Berna e Tripoli, scatenata nel luglio dellanno scorso dalla decisa azione della procura ginevrina contro Hannibal Gheddafi, scapestrato figliolo del Colonnello che si era fatto beccare a maltrattare i suoi domestici in un albergo di lusso. In evidente ritorsione contro larresto di Hannibal e della consorte, poi rilasciati su cauzione, due cittadini svizzeri erano stati arrestati pochi giorni dopo in Libia con limprobabile accusa di irregolarità nellimmigrazione, e da allora sono di fatto ostaggi nel Paese nordafricano. La seriosa Svizzera si è trovata così impelagata in una crisi dalle pesanti ricadute economiche con listrionico leader libico e non sa più come uscirne. Bignasca junior, invece, lo sa benissimo. O almeno dice di saperlo: a cannonate. Il giovane deputato cita lultima rodomontata del figlio del raìs («Tiriamo latomica sulla Svizzera») e quella dellillustre padre, che vorrebbe che lOnu discutesse una provocatoria proposta libica per lo smembramento della Confederazione tra i suoi vicini, Italia compresa. E afferma testualmente in una proposta di risoluzione cantonale - citando addirittura Benito Mussolini - che «è giunta lora delle decisioni irrevocabili» contro atti che «sono da considerarsi come una violazione della sovranità elvetica, ovvero una dichiarazione di guerra (...): dobbiamo affrontare i rischi e i sacrifici di un conflitto armato».
Sentito dal Giornale, Bignasca assicura che la sua è solo una provocazione, tesa a ottenere opportune iniziative federali per la liberazione dei due concittadini prigionieri in Libia.
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