La Lega fallisce la corsa in solitaria

Il Carroccio non ha sfondato dove si è presentato diviso dagli azzurri

Pier Francesco Borgia

Roma Una battuta d'arresto che sa di vittoria oppure una vittoria dimezzata? Difficile ragionare a mente fredda mentre scorrono soltanto i numeri degli exit poll. Un dato certo, però, è che è fallito l'ambizioso progetto salviniano di dare una spallata alla leadership del centrodestra. Semplicemente perché le speranze di portare la Meloni a correre per il Campidoglio al ballottaggio sono tramontate fin dai primi minuti dopo la chiusura dei seggi. Non sarà la leader di Fratelli d'Italia, «braccio armato» della Lega sotto il Po, ad affrontare la Raggi al ballottaggio. Chiuso negli uffici di via Bellerio Salvini ha aspettato prima di apparire in pubblico. E la prima menzione, ovviamente è stata per Gianluca Buonanno, l'europarlamentare leghista morto ieri in un incidente stradale. Gli appelli a non disertare le urne che Salvini ha continuato a ripetere fino all'ultimo, anche uscendo dal seggio di via Ruffini a Milano, non sono dunque serviti allo scopo. La conquista dei ballottaggi è arrivata. Non a Roma, ma a Milano (dove era prevedibile) e a Bologna. Per limitarci ai centri maggiori. Vale a dire dove la Lega appoggiava lagià collaudata e sperimentata alleanza con Forza Italia.

Il confronto sulla leadership dell'alleanza e sul futuro stesso del centro-destra, per il momento, è solo rimandato. Sul futuro Salvini mostra sicurezza ma qualcosa, rispetto ai toni della vigilia, deve cambiare.

La crescita dei voti di lista per la Lega era stata prevista dai sondaggi delle ultime settimane e in molti a via Bellerio, ancora ieri sera, prima della chiusura dei seggi, speravano in un risultato ancor più eclatante. Perché l'ambizione mal dissimulata era quella di sedersi al tavolo dell'alleanza di centrodestra con un potere contrattuale forte. Lo scivolone romano, però, pesa. E questa, che si presenta come l'unica nota stonata della realpolitik di marca salviniana degli ultimi mesi, lascia aperto a ogni previsione il confronto con gli alleati. La Lega, però, non ha smesso di crescere negli ultimi tre anni. Dal punto più basso del 2013 con un misero 4,08% alle elezioni politiche, ha via via risalito la china (alle Europee ha preso il 6,15% e alle regionali dell'anno scorso ha toccato quota 9,11). Con il risultato a doppia cifra raggiunto nei Comuni dove si presentava con il tradizionale simbolo con Alberto da Giussano ha ottenuto quanto meno di dimostrare all'opinione pubblica e agli analisti politici che è in «buona salute».

Milano e, soprattutto, Bologna (con il «relativo successo» di Lucia Bergonzoni, candidata sindaco per il centrodestra) fanno bene sperare, suggeriscono a denti stretti i militanti di via Bellerio. Per ricomporre la frattura provocata dal «lodo Roma» (per tacere del magro bottino torinese dove Lega e Forza Italia si sono presentati divisi) ci sono adesso quindici giorni di tempo. Il principale obiettivo della Lega è stato raggiunto. Alla conta dei voti di lista risulta il primo partito dell'alleanza. Tutto ciò che arriva in più è tanto di guadagnato. Soprattutto adesso, tra i dirigenti della Lega, cresce la consapevolezza che il «fattore» Salvini possa essere un jolly significativo. Anche perché - ripetono quasi in coro - sono gli stessi avversari politici a designarlo come il bersaglio privilegiato.

Dagli attacchi dei copyrighter (del Pd) che lo hanno paragonato a Moro, fino ai tanti antagonisti che nel corso di tutta questa campagna elettorale hanno fatto il possibile per ostacolare con la violenza i suoi comizi di piazza.

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