Gian Paolo Serino
La madeleine di Proust, l'ambiguità dandy di Oscar Wilde, le atmosfere «glamorama» di Brett Easton Ellis in un romanzo che è un Grande Gatsby calato in un inferno popolato di personaggi che sembrano usciti da un libro di Jean Genet. Edmund White, classe 1940, saggista, critico letterario, il più europeo degli scrittori americani ne Il nostro caro ragazzo è riuscito in quello che è senza dubbio il suo miglior romanzo. Professore di scrittura creativa alla Princeton University, White è autore di tredici libri fra romanzi e raccolte di racconti, inclusa la sua famosa trilogia di romanzi autobiografici legati alla tematica dell'omosessualità.
Il libro è ambientato sullo sfondo frenetico e vanesio della New York tra gli anni '70 e '80. Il protagonista è Guy, un affascinante francese che fa il modello da quando aveva diciassette anni. La caratteristica di Guy è la stessa del Dorian Gray di Oscar Wilde: non invecchia, almeno all'apparenza. Guy dedica la vita e il suo aspetto alla carriera: «Pensava di essere un cavallo da corsa prezioso e costoso su cui tutti continuavano a puntare, che tutti ispezionavano non per la sua salute, ma per proteggere quello che avevano scommesso su di lui». Guy ha un manager di nome Pierre-Georges che gli procura incontri con ricchi omosessuali in cambio di soldi o lavori nella moda.
White si dimostra ancora una volta un maestro nel creare un personaggio ambiguo: è egoista e superficiale ma sa essere leale e vulnerabile. È qui che si discosta da Dorian Gray, grazie alla sua complessità. La bellezza mette presto Guy di fronte alla paranoia - o, piuttosto, alla consapevolezza - che prima o poi finirà, arrecandogli una feroce malinconia e alimentando la sua lotta eterna contro l'inevitabile (auto)distruzione, che sopraggiungerà nei panni del più proficuo serial killer delle comunità gay degli anni '80: l'Aids.
White racconta la storia in una prosa così frenetica e al contempo artefatta, che il romanzo vira quasi alla commedia, ed è in grado, in questa storia dai connotati di consapevole superficialità, di crepare la superficie e raggiungere una profondità di assoluta disperazione.@GianPaoloSerino
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