Sergio Maifredi, dall'esilio polacco (per motivi di lavoro) lamenta la decadenza genovese («La mia Genova affonda e non mi stupisce» 8 dic.). Naturalmente, al di là e al di qua dei percorsi individuali ad ostacoli che ciascuno si trova ad affrontare nella vita, ha ragione da vendere. La nostra città (purtroppo in negativo) è diventata un grande problema a se stessa. Va aggiunto che si tratta di un inghippo involutivo che riguarda tutte le forze politiche: quelle del passato e del presente e, speriamo, non quelle diverse dell'avvenire prossimo e lontano. Ad essere pessimisti - ha ragione Silvio Berlusconi - non ci si guadagna nulla, nel senso che non si raggiungono gli obbiettivi di miglioramento che ci si prefigge razionalmente di conseguire. Tuttavia il «caso Genova» è speciale e merita di essere oggetto di attento studio non solo da parte degli addetti ai lavori (che effettivamente in sede universitaria avrebbero potuto fare di meglio a partire dal fatidico 1976 quando ebbe ad installarsi a palazzo Tursi la prima giunta di sinistra che salvo una breve interruzione - mi pare nel 1981, con un ritorno al vecchio pentapartito - ebbe poi a governare ininterrottamente la città fino ai giorni nostri). Una formula politica non può che essere stata (ed essere) espressione di un blocco sociale che tuttora insiste nel capoluogo (e in Provincia). Tuttavia il senso di tale blocco sociale esistente all'ombra della Giunta di Sinistra (nelle diverse trasformazioni di questa stessa) è stato quello di uno strumento di difesa dell'esistente sin dall'inizio e non certo di progresso e di proiezione verso il futuro. Genova, ferita dal crollo delle Partecipazioni Statali (sempre irrorate di soldi pubblici fino all'impossibilità di ripianare i deficit crescenti) non ha trovato valide alternative (alcune addirittura le ha rifiutate).
Si è trattato della difesa di un ridimensionamento che nei fatti era già in atto e ai cui la politica e l'economia non hanno localmente saputo dare le risposte giuste. La cosa è singolare perché di quel blocco sociale che si è venuto formando facevano parte i sindacati, gli imprenditori e i politici del governo locale. Sono gli anni in cui il maggior quotidiano cittadino - sotto la direzione di Roberto De Rosa - divenne espressione della Sinistra militante (con buona pace dell'aggettivo «indipendente» che ha sempre accompagnato la testata). Ora, un simile orientamento non poteva che essere preliminarmente pilotato dai poteri forti cittadini e regionali che in tale «quotidiano» si sono sempre riconosciuti.
Ebbene, un simile blocco economico-politico-sociale (poiché anche i lavoratori volenti o nolenti ne facevano parte) avrebbe dovuto fare scintille nell'inventare un nuovo modello di sviluppo e far risorgere la città (sia attingendo a fondi centrali sia investendo in proprio). È davvero sorprendente che davvero ben poco di ciò che si ebbe a sperare da parte dei suoi fautori sia stato realizzato. Sono note in proposito le rampogne della Sinistra - a più riprese - contro il ceto imprenditoriale, il quale fu prudentissimo ed estremamente parsimonioso negli investimenti. In realtà, sembrerebbe che non si fidasse fino in fondo di quell'orientamento che esso stesso aveva, vuoi per debolezza vuoi per convenienza, finito con l'accettare ma che sostanzialmente gli ripugnava. Il raffreddamento delle dinamiche economiche in città (a causa di un modello socialista «balcanico») ha prodotto il «lungo sonno» e la sensazione che il capoluogo tendesse a stabilizzarsi su un ciclo di riproduzione stagnante (e non allargata, come si era invano sperato). Le uniche «botte di vita» sono state prodotte con fondi pubblici che però non hanno dato luogo ad un'effettiva inversione di tendenza. Il declino demografico (nel 1961 il capoluogo aveva 831.000 abitanti, oggi naviga attorno ai 600.000, tenendo conto del numero degli immigrati che in parte sono disoccupati) è una notevole spia (anche se vanno considerate altre componenti per illuminare davvero il fenomeno). Nell'ambito della Sinistra si può soltanto annoverare il grido d'allarme dell'ex-sindaco Sansa che, all'atto dell'insediamento, parlò di uno scivolamento verso una città di 450.000 abitanti intorno al 2050. Ora, indipendentemente da tale annunzio di sciagura inteso però dall'allora primo cittadino in modo non irresponsabile, non c'è dubbio che il declino di Genova è una realtà con la quale occorre fare i conti. Ha ragione dunque Maifredi a testimoniare così apertamente e concretamente i rischi che la città corre insistendo in una linea politica che va cambiata.
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