Leone: niente dà scandalo come la preghiera

Stefania Vitulli

Forse la chiave di questo romanzo è nelle parole della stessa Mastrocola, che in una intervista ha detto di essersi chiesta: «Piacerà al mondo cattolico, al mondo laico, a nessuno?». Domande d'altri tempi, quando scrivere fiction in conformità a una fede o a un'altra aveva un senso profondo. Forse la chiave è nel disagio che persino nelle presentazioni del libro la parola preghiera o addirittura il nome Gesù provocano. O forse, per interpretare la storia di Leone, sei anni, timido, solitario, che gioca a uno sport anni '80 come il minibasket, la chiave non c'è: semplicemente bisogna guardarlo come fa la nonna, che lo ama in modo assoluto, e tenerne accanto la folgorazione come da piccoli abbiamo tenuto in mano un uccellino caduto, sentendo risuonare in noi il senso della vita per la prima volta.

Leone (Einaudi) insomma è una specie di bomba a mano nel panorama letterario di oggi, uscito dal nulla: non solo è un bambino e quindi non sa spiegarci perché fa quello che fa, ma si mette d'improvviso a pregare Padre Nostro, Ave Maria, Angelo di Dio - verso Natale, proprio quando un tempo tutti i bambini, almeno italiani, lo facevano davvero. Solo che lui comincia d'un tratto, in mezzo alla strada, come una rivelazione, come quando Francesco si spogliò di tutto, come quando Cristo entrò nel Tempio. E poi continua. A scuola, in casa, tanto che i vicini, i compagni, la maestra, il quartiere lo additano: «Hai visto? Un bambino che prega». E Leone, figlio di una Katia italiana, trentaseienne separata e un po' sconclusionata, diventa come Baladan, quel bambino buono e silenzioso che appena suona mezzogiorno stende il suo tappetino accanto al banco. Anche Leone si sposta dal flusso della vita, per pregare: non si nasconde, ma crea un suo spazio spirituale, uno spazio che, forse, oggi ci manca come sa mancare solo l'aria. Il suo gesto acquista intensità mano a mano che arrivano le occasioni: Leone è preoccupato, si sente solo o impotente? E prega.

Poi un giorno la maestra scopre che, anche solo per fare goal o per farsi invitare a casa da un amico simpatico, in prima elementare pregano in tanti e anche nel lettore lo scandalo si normalizza. Per evitare però che l'eversione dell'idea si sgonfi negli ultimi capitoli, la Mastrocola ha concepito un finale scomodo, in cui il conflitto tra purezza e morbosità si stempera nella vera rivoluzione: il mistero.

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