Lerner, il razzista chic: i lumbard sono idioti

Alla fine c’è un Flavio Tosi sindaco leghista di Verona insolentito: «Ci date degli idioti dicendo che facciamo finta di non esserlo». Ma è sull’espressione insofferente e sul tono seccato di Claudio Burlando che si misura la cifra della trasmissione: «Se la sinistra continuerà a etichettare la Lega perderà sempre - dice il neo eletto governatore ligure del Pd -. Domandiamoci invece quali sono le nostre risposte, e vediamo le loro capacità». Pareva di stare a Profondo Nord, l’altra sera all’Infedele, o a Milano Italia, insomma in una delle trasmissioni degli albori lerneriani, erano i tempi in cui la Lega raccoglieva i primi successi e politici e intellettuali si interrogavano fra il perplesso e il disgustato su quel movimento fin troppo popolare e su quell’Umberto Bossi che proclamava «la Lega ce l’ha duro» arringando le masse contro «Roma ladrona». È rimasto lì, Gad Lerner: non si capacita di questo Carroccio che procede spedito, teme «una Padania in tutta l’Italia».
A Tosi e a Burlando che sottolineano l’importanza, per i politici, di «stare fra la gente, capirne i problemi e trovare soluzioni», replica stridulo: «Siete banalissimi!». A Burlando che annota: «I voti li prendi come li prendi, poi bisogna vedere come governi», Lerner toglie la parola con un: «Dissento! Come prendi i voti determina cosa fai dopo». Perché il teorema da dimostrare - e guai a chi non ci sta - è il seguente: i leghisti fanno i finti sciocchi per poter dire verità altrimenti impronunciabili, «le sparano grosse e se tu li prendi sul serio e ti arrabbi dicono che stavano scherzando, e tu fai la figura dell’idiota». C’è Tosi che si affanna a spiegare che «siamo solo chiari e sinceri», e c’è Burlando che osa correggere il conduttore: «Lerner teorizza che il voto alla Lega sia più per suggestione che per radicamento, invece contano entrambi gli aspetti». Ma nulla placa Lerner. Per dimostrare la sua tesi ha invitato un’antropologa, la francese Lynda De Matteo, che nel libro «L’idiozia in politica» paragona i leghisti al Gioppino, la maschera bergamasca che, forte della sua idiozia, derideva chi si credeva più intelligente. Così, nella commedia dell’arte che è la Lega vista da Lerner, Bossi diventa il rozzo e astuto Arlecchino, Roberto Calderoli è Gioppino, Roberto Cota è Gianduia, Roberto Castelli è Brighella, Giulio Tremonti è Pantalone. «Si fingono sciocchi e deridono gli intellettuali, ecco la loro chiave di seduzione» affonda.
Poi trasmette un comizio di Cota, che ai piemontesi dice: «Noi siamo veri, siamo il popolo, loro sono i radical chic da salotto». E lui, il radical chic da salotto, «sono permalosissimo» ammette, si sente chiamato in causa: «Questa menata per cui voi siete veri e io e Burlando no...».

Replica Tosi, divertito: «Lei fa il giornalista, ma i politici se stanno nel salotto perdono le elezioni». Burlando si tira fuori: «Ha ragione Tosi, io ho vinto stando in mezzo alla gente». Gad probabilmente non lo inviterà più.

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