Roma Il campanello dallarme in via dellUmiltà suona fin dalle prime intenzioni di voto. Inizialmente ci si trincera dietro il dato parziale, si spera in una inversione di tendenza, si ricordano i precedenti delle ultime Regionali. Poi mano a mano che il voto milanese prende corpo, la delusione sale e ci si ritrova ad analizzare un risultato del tutto inatteso tra stupore, delusione e incredulità.
La prospettiva ballottaggio a Milano aleggiava, in realtà, già da qualche giorno. Precisamente dallincidente di Letizia Moratti nel faccia a faccia con Giuliano Pisapia a Sky. Il Pdl, in quelle ore, era arrivato addirittura a inserire tra le opzioni possibili, anche se soltanto a livello di scenario, la sconfitta al primo turno di lady Moratti. Un effetto boomerang che avrebbe potuto trasformarsi facilmente in un effetto domino, con inevitabili contraccolpi sulla tenuta del governo. Alla fine nel capoluogo meneghino si è raggiunto il traguardo minimo, il ballottaggio, e ora si apre il secondo tempo di una partita complessa e delicata. Un match da giocare in una città simbolo che, in prospettiva, rischia di accelerare anche il restyling del partito e riportare alla luce i malumori sotterrati nella sabbia ma certo non evaporati.
«A Milano avevamo unaspettativa diversa». È Denis Verdini a rompere per primo il silenzio del Pdl sulle amministrative ma è Viviana Beccalossi a dettare, apertis verbis, la propria critica alla strategia adottata dalla coalizione: «Le campagne così aggressive non pagano sempre. Pagano a livello nazionale, meno nelle amministrative, perché allontanano la gente dalla politica». Al di là delle dichiarazioni ufficiali le voci disposte ad approfittare delloccasione per sussurrare il proprio malumore non mancano di certo. Il ritornello che risuona è una sorta di inno in lode della moderazione intonato a posteriori. «Adesso è il momento di mettere la polvere sotto il divano, fare quadrato e motivare i nostri rimasti a casa» dice un parlamentare lombardo. «Ma poi bisognerà rivedere profondamente i meccanismi di gestione interna al partito. La ristrutturazione di un Pdl attualmente angusto e gerarchizzato non è più rinviabile».
In molti, però, invitano anche a unassunzione di responsabilità a più livelli. «Berlusconi può tirare quanto vuole la carretta ma deve rendersi conto che il territorio finisce per fare i conti quotidianamente con una classe politica non allaltezza» commenta un parlamentare romano. «Ora sarebbe troppo facile scaricare tutto sulla Moratti e sullo stereotipo della politica fredda, algida e distante dalla gente. Piuttosto dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità e chiedere anche alla Lega di spendersi davvero sul territorio, evitando il gioco dei distinguo. Serve un colpo dala anche da parte di Berlusconi».
Il partito, dunque, studia le contromosse e mantiene alta la concentrazione in vista del ballottaggio. Un obiettivo per il quale promette di lavorare pancia a terra anche Claudio Scajola, che pure nei mesi scorsi non aveva risparmiato critiche al Pdl. Il messaggio che arriva da fonti parlamentari a lui vicine è netto: «Fino ai ballottaggi occorre viaggiare uniti e con determinazione. Il voto certifica, però, la necessità di un rilancio del partito sul territorio». La richiesta di un ritorno allo spirito del 94, fanno capire, non era dunque peregrina e i fatti ci danno ragione. «Questo è un voto di protesta, ha vinto la sinistra estrema e lopposizione alla di Di Pietro - sottolineano le colombe -. Noi abbiamo sbagliato campagna elettorale. Il caso Lassini lo dimostra».
In ogni caso fino ai ballottaggi non ci sarà alcun redde rationem. Poi dopo il 29 maggio il confronto - anche con la Lega - sarà inevitabile. Fermo restando che, per dirla con le parole di un altro parlamentare, «tutto è possibile ma Milano alla fine rifiuterà di avere come sindaco un katanga del Terzo Millennio».
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