Lettori pro Berlusconi ma il «Financial Times» cestina i loro commenti

RomaDisorientamento totale. Perché se anche il per definizione «autorevole» Financial Times sbianchetta le lettere scomode e toglie l’audio a chi non canta in coro, allora vacilla il cliché del giornalismo anglosassone misurato, equidistante, moderato, super partes, insomma british. Perché uno sfoglia il per definizione «autorevole» quotidiano, così seppiato, così elegante, insomma british e che ti trova? A pagina dieci, tre lettere sul caso italiano. Tale Claudia Basta scrive che «sfortunatamente Mani Pulite ha portato Berlusconi al potere», che Berlusconi «delegittima il Parlamento», che «l’Italia nelle mani di Berlusconi diventerà la vera minaccia per l’Europa». Tale Niccolò Caranti, invece, parla di «puro populismo» della proposta di riduzione del numero dei parlamentari, mentre tale George Dernowski si sente in pericolo, minacciato com’è da «una sottospecie di fascismo» che pervade il nostro Paese. Ohibò: ma dove viviamo? A Roma o all’Avana? Nel XXI secolo o negli anni Trenta? D’altronde saranno arrivate tonnellate di lettere di questo tenore alla redazione del per definizione «autorevole» Financial Times e avranno deciso di pubblicarne tre, così, a caso. Ma è possibile che al giornale abbiano scritto solo concittadini anti-berlusconiani come un Giulietto Chiesa? Difficile pensarlo. Anche perché se uno spulcia il blog del sito dello stesso per definizione «autorevole» Financial Times - quello dove è un po’ più complicato piazzare il misurato, equidistante, moderato, super partes, insomma british «filtro» -, scopre che in Italia c’è anche chi non la pensa come i tre tali sopra citati.
Il blog è dell’«autorevole» Tony Barber, ex corrispondente da Roma e ora corrispondente da Bruxelles dell’«autorevole» Financial Times. Quello che, per intenderci, ha scritto che Berlusconi «nel suo primo governo non fece niente»; che «è il peggior governante economico dal 1945»; che «in qualsiasi altro Paese europeo, lo scandalo Noemi avrebbe fatto cadere il primo ministro in minor tempo di quanto ci voglia a dire “papi”». Insomma, un misurato Santoro in salsa Worcestershire. Ebbene tra quelle pagine si leggono anche i seguenti commenti: «Questo blog attacca apertamente il primo ministro di un Paese che ha bisogno di dieci anni di governo stabile per mettere in atto provvedimenti che facciano crescere l’economia e migliorino le condizioni sociali... La persona in grado di innescare questo cambiamento è Berlusconi. Lasciate che faccia il suo lavoro». Oppure: «Ho sempre pensato che il FT fosse un quotidiano che trattava la finanza, l’economia e la politica in modo corretto e fattuale. Oggi, Mr. Barber, ho provato vergogna a leggere il suo articolo. Spero che si scusi con tutti gli italiani che hanno fiducia, hanno votato e voteranno ancora per Berlusconi». E ancora: «Il Financial Times ha perso molta credibilità ai miei occhi. La prego di tenere i vostri giudizi per voi e non pretendere di dare lezioni civili o morali». Un altro: «Ammettete che ci sono persone che la pensano in un modo e altre in un altro. Restate pure nel vostro mondo di fantasie, dove vi sentite a casa. Ma dateci una tregua, anche!». E poi: «Ma chi siete voi da sentirvi così eticamente superiori rispetto al Parlamento eletto dagli italiani?». Ancora: «Sapete qualcosa della signora Gandus, il giudice che ha condannato Mills?». Oppure, sul filo dell’ironia: «Repubblica e Corriere i quotidiani più venduti in Italia? Com’è possibile? In Italia non c’è una dittatura berlusconiana?».
E che dire dell’altro per definizione «autorevole» The Times, quello che dovette rettificare una frase della madre di Noemi, in verità mai intervistata. Sul rischio democrazia nel nostro Paese un lettore scrive: «Non ho votato per Berlusconi, ma non vedo alcuna erosione di diritti in Italia.

E ci sono Stati democratici in Europa, per esempio la Francia, dove l’esecutivo è molto più forte che nell’Italia di Berlusconi». Nessuna di queste lettere troverà spazio nella versione cartacea dei due per definizione «autorevoli» quotidiani. Unfortunately. The end.

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