Libano, passa agli italiani il controllo del mare

Ieri alle 18 gli israeliani hanno lasciato la responsabilità dello spazio marittimo alla nostra Marina

Fausto Biloslavo

dalla nave Garibaldi

(al largo del Libano)

Il mezzo da sbarco sobbalza sul mare puntando verso la nave San Giusto, a poche miglia dalla costa libanese. I fanti del mare con i mitra a tracolla scrutano l’orizzonte, mentre due ufficiali in impeccabile divisa bianca e spadino da accademia alla cintola tengono a bada i giornalisti. L’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, che comanda la squadra navale italiana al largo del Paese dei cedri, ha un annuncio importante da fare davanti alle telecamere: «Undici minuti fa alle 18 ore locali (di ieri per chi legge, nda) la marina israeliana mi ha comunicato che passa la responsabilità dello spazio marittimo a quella italiana. Il mare è libero». In pratica il blocco navale è tolto, come quello aereo il giorno prima. Non solo: per individuare carichi di armi diretti agli Hezbollah utilizzeremo anche i cacciabombardieri Harrier a bordo della portaerei Garibaldi. Il mezzo da sbarco che ci fa da traghetto si infila nel ventre della San Giusto, un bacino allagato dove attracca. Sulla fiancata del ponte di comando spicca l’alabarda di Trieste e un alligatore con le fauci spalancate, simboli dell’unità navale.
Il capitano di vascello Domenico Di Capua indica dei puntini neri all’orizzonte: «Sono le navi israeliane che stanno ripiegando nelle loro acque territoriali. Ora tocca a noi sorvegliare il mare».
L’elevatore ci porta all’altezza di una porta metallica, l’ingresso dell’ospedale ricavato a bordo, che garantisce l’assistenza sanitaria in caso di feriti fra le truppe a terra. Negli angusti spazi della nave è stata ricavata una sala operatoria, due letti per la terapia intensiva, altri sei per i pazienti meno gravi, oltre a un circuito chiuso di telemedicina collegato con il Policlinico Celio a Roma. L’équipe sanitaria d’emergenza è composta da sette medici e altrettanti infermieri comprese tre donne. De Giorgi vuole vedere i giornalisti sull’ammiraglia, il Garibaldi, che è più lontana a circa venti miglia dalla costa. L’elicottero grigio della Marina Militare con la scritta UN (Nazioni Unite) sulla fiancata decolla velocemente virando verso il mare aperto. Il portellone laterale si riapre sopra la sagoma inconfondibile della portaerei Garibaldi.
All’esterno della plancia, l’ammiraglio De Giorgi annuncia che undici minuti prima un parigrado israeliano lo ha chiamato via radio per passare alla Marina italiana il controllo dello spazio di mare davanti al Libano, augurandogli «vento calmo e mare in poppa», come si usa fra marinai. In realtà adesso inizia un nuovo delicato impegno della Operazione Leonte, che sotto la bandiera dell’Onu dovrebbe garantire che non torni a scoppiare la guerra fra Israele ed Hezbollah.
«Il nostro compito è pattugliare il mare, segnalare navi sospette ed evitare che approdino carichi di armi», spiega l’ammiraglio che comanderà la sorveglianza fino a quando non arriverà la flotta tedesca. Oltre alla task force marittima italiana composta da quattro unità, verranno utilizzate due navi francesi e delle unità greche che sono in arrivo. La novità è che le navi mercantili in arrivo verso il Libano saranno monitorate dal cielo, oltre che da una dozzina di elicotteri, anche dai quattro caccia bombardieri Harrier B2, dotati di particolari sistemi di rilevamento a infrarossi.
«Se un’imbarcazione sospetta diretta in Libano si trova a duecento chilometri mandiamo un Harrier a controllare da ventimila piedi di quota senza farsi neppure vedere», spiega l’ammiraglio. Nella centrale operativa di combattimento, il cuore pulsante del Garibaldi, si è già immersi nella nuova operazione. La sala è come quella dei film, con la luce rossa di emergenza sempre accesa e grandi schermi sui quali i satelliti riproducono la costa libanese o il tratto di mare fino a Cipro. «Le comunicazioni sono criptate, i radar controllano il mare e lo spazio aereo e il sonar quello subacqueo ­ spiega il capitano di vascello Carlo Mastragli ­. Calcoliamo che saranno migliaia le navi mercantili in arrivo dopo la fine del blocco».
Ogni imbarcazione va contattata via radio e identificata. Nel caso non segua la rotta prefissata, o ci sia il sospetto che trasporti armi, munizioni o parti di materiale bellico, va segnalata alle unità costiere libanesi, che devono intercettarla e abbordarla per un’accurata ispezione.

«L’abbordaggio spetta ai libanesi, ma se hanno bisogno di appoggio possiamo fornirglielo» dichiara l’ammiraglio. Non a caso fra i 750 marinai al largo del Libano ci sono anche unità del reggimento San Marco specializzate in questo tipo di azioni.

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