Liberi di suonare per strada? Almeno abbassate il volume

di Mimmo Di Marzio

«La storia della cultura nasce in strada. Aprire le strade agli artisti significa avvicinare la cultura ai cittadini». Con queste parole il Pd aveva salutato in Consiglio comunale il nuovo regolamento che liberalizza la presenza costante di artisti di strada nelle piazze cittadine. E così da molti mesi il centro storico si è trasformato in un palcoscenico a cielo aperto popolato di concertisti o aspiranti tali, jazzisti o rockettari nostalgici, giocolieri, percussionisti, mimi, equilibristi, fachiri, ritrattisti, scultori di palloncini, truccatori di bambini e chi più ne ha più ne metta. Molti, compreso chi scrive, hanno gioito nel vedere le piazze della «città della fretta» improvvisamente colorate e arricchite di colonne sonore che (non in tutti i casi) inducono a piacevoli soste e avvicinano (vagamente) il nostro centro alle atmosfere delle ramblas di Barcellona o dei marciapiedi di Montmatre.
Già, ma con le luci sono arrivate anche le ombre, come recentemente denunciato su queste pagine da diversi esercenti delle vie intorno al Duomo «torturati per ore da nenie e litanie che impediscono di lavorare». Esagerato? Fino a un certo punto e per capirlo basta mettersi per un giorno fisicamente nei panni di negozianti, residenti o impiegati che affacciano, chessò, su piazza Cordusio, corso Vittorio Emanuele o piazza San Babila. In modo ammirevolmente libertario, il nuovo regolamento comunale stabilisce che «l'esercizio delle arti di strada possa essere effettuato tutti i giorni della settimana dalle 9 del mattino fino a mezzanotte. Tutti con un posto assegnato (almeno 2 metri quadrati), prenotato in uno sportello unico o con un clic su un portale dedicato che sarà accessibile anche ai cittadini, che potranno così sapere dove e quando vedere le esibizioni degli artisti». Dalle 9 a mezzanotte appunto. Stupendo. Ma c'è un fattore che il regolamento pare ignorare: quello dei decibel. Sì perché, come giustamente sottolineato dai negozianti indignados, alcuni degli artisti o aspiranti tali hanno effettivamente scambiato la vasca cittadina per il palco di Woodstock, allestendo impianti di amplificazione la cui potenza è inversamente proporzionale alla maneggevolezza. Miracoli della tecnologia. Alcuni casi sono eclatanti, come le band di peruviani in costumi da pellerossa armati di temibilissimi flauti i cui acuti si irradiano per chilometri. E per ore e ore. O come quello di un attempato neomelodico napoletano che, dotato potente impianto voci e basi musicali registrate, impone a volume spiegato l'intero repertorio classico partenopeo. L'arte ha diritto di esprimersi è vero e, come esultò il consigliere Pd Filippo Barberis, «grazie alle nuove regole l'amministrazione comunale va verso la direzione di una Milano città aperta, più attrattiva, più ricca di cultura, più viva ed europea».

Ma, poiché la democrazia dovrebbe difendere tutti, esiste la possibilità di un compromesso? Per esempio quello di vietare l'amplificazione? In fondo i veri artisti sanno esprimersi egregiamente anche in versione acustica, e lo dimostrano eccellenti casi, come una rom-band che spesso sotto i portici del Duomo intona pregevoli rondò con chitarre e violini. Senza microfoni e senza amplificatori.

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