Libertà: una mongolfiera di sole e nuvole

Traccia: «L'aspirazione alla libertà nella tradizione e nell'immaginario artistico-letterario (seguono documenti di Omero, Dante Alighieri, Machiavelli, Manzoni, Verga, Eluard, Quasimodo, Martin Luther King, Delacroix)».

«Dissero solo addio, nient’altro, perché né gli uni sanno costruire frasi né gli altri le sanno capire, ma col passare del tempo si troverà pure qualcuno per immaginare come queste cose avrebbero dovuto essere dette, o fingerle, e, fingendole, le storie arrivano ad essere più vere dei fatti veri». Eccolo. Prendi Il memoriale del convento del buon vecchio Josè Saramago e lì trovi la risposta alla tua domanda. La parola che crea storie, finzioni, che si libera, vola e fugge da tutte le torri d’avorio. La storia di Saramago è la sfida tra un sogno e un ex voto. È il sogno di padre Bartolomeu, vittima dell’Inquisizione, che vuole costruire un aerostato, «fatto di sole, ombra, nuvole chiuse, calamite e lamine di ferro». È l’ex voto di un re spagnolo, che mette su un mastodontico convento come ringraziamento per la nascita dell’erede. È la libertà di Baltasar sette-soli, soldato, muratore, ingegnere e della sua compagna Blimunda sette-lune, che leggono il male del mondo, ma non si lasciano «incaprettare dalle ideologie». Essere trasversali e scrivere per chi si ha voglia, senza legarsi a nessuno, con il pennacchio bianco di Cyrano conte di Bergerac, naso lungo, moschettiere, con licenza di pungere e rimare. Vivere. Senza avere referenti politici, sordi alle sirene con cui Omero immaginò di tentare Ulisse. Senza accasarsi. Insomma, senza prostituirsi. Eccolo, allora, l’artista, che non deve diventare un cane da collare per nessuno, un cane da collare del potere, anche se a volta nel trogolo mettono delle buone offerte. La libertà dell’autore è sete permanente, luce che lampeggia contro l’estrema condanna dell’oscurità dei tempi. È l’immolazione di sé stessi, il grande sacrificio di Cristo in croce, l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Ti vedi, in questa terra, con l’eterna voglia di partire, andare, lasciare, sempre in cerca di un nuovo addio. E scopri di avere nell’anima una strana tristezza: l’uomo quando è lasciato solo alla sua libertà diventa quasi insofferente, sente un atavico, primordiale, bisogno di rovinare la sua vita con miseria, catastrofi, guerre che si crea da solo. È qui che hai il senso preciso della tua poca libertà. Ed io questa sensazione l’ho avuta quando per 15 giorni mi hanno chiuso dietro le sbarre.

Al secondino che mi ha sbattuto la doppia porta blindata alle spalle, con un sguardo da uomo libero che non sapeva perché venisse chiuso lì, ho chiesto: «Perché chiudi la porta. Non penso di scappare». Mi ha guardato. Ha alzato le spalle e ha detto: «Neppure io».

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