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Libia nel caos: l’ultimo bluff del dittatore adesso offre la resa e confonde i ribelli

Impegnati nella battaglia di Sirte, gli oppositori ricevono la proposta di negoziare mentre nella regione si rischia l’ennesimo stallo militare. E a Tripoli un'altra strage lealista: trovati 170 corpi carbonizzati. L'odissea dell'ex fidanzata di Mutassim: "I miei giorni da incubo al fianco del figlio del raìs". Tutti gli uomini del Colonnello: da assi a "wanted" FOTO: Tripoli sotto assedio

Libia nel caos: l’ultimo bluff del dittatore 
adesso offre la resa e confonde i ribelli

Forse bleffa. Forse cerca di giocarsela fino in fondo. Di certo propaga dubbi, semina incertezze, incrina le aspettative di una rapida pacificazione del Paese. La proposta del Muammar Gheddafi in fuga di «negoziare» sarà anche «delirante», come la definisce il ministro degli Esteri britannico William Hague, ma fa discutere. Tiene desta l’attenzione su un «cane pazzo» non ancora domato. E mantiene assai alto il prezzo d’una ipotetica, futura riconciliazione nazionale. La mossa del raìs scomparso arriva per telefono all’Associated Press di New York. Ad esporla ci pensa Ibrahim Moussa, il portavoce del regime, grande controllore, per sei mesi, dei giornalisti stranieri a Tripoli. Moussa afferma di essere ancora nella capitale, annuncia la decisione del suo capo di trattare con i ribelli e propone Saadi, il figlio calciatore rimasto pure lui a Tripoli, come interlocutore designato.

I ribelli respingono immediatamente l’offerta. Ali Tarhouni, ministro delle Finanze del Cnt, chiarisce che «non vi sarà alcun negoziato» fino alla resa del raìs. «Se si arrende - propone Tarhouni - negozieremo e lo prenderemo in consegna». Da Bengasi il portavoce Ahmed Bani fa sapere che i ribelli attendono solo di «liberare il mondo dall’insetto Gheddafi». Ma tra il dire e il fare c’è la resistenza della Sirte. La città-regione abitata dai Gadhadhfa e dagli Urfali, due tribù da sempre fedeli al Colonnello, è la spina nel fianco nella nuova Libia. Per capirlo basta prender in mano una cartina geografica. Sirte e i suoi villaggi dividono Misurata da Ben Jawal, l’ultima roccaforte caduta in mano ai ribelli. In mezzo ci sono 200 chilometri di territori ostili. Una soluzione è prenderli con la forza. Ma per farlo ci vorrebbero, come ammette lo stesso Ahmed Bani, almeno dieci giorni. Quand’anche bastassero, la regione rischierebbe di trasformarsi nel caposaldo d’un’interminabile insurrezione lealista diventando l’equivalente del Triangolo Sunnita nell’Irak dopo Saddam. Dunque la soluzione migliore per evitare un’eterna instabilità è negoziare. Ma i tentativi di convincere i leader tribali ad accogliere in pace le armate ribelli son fin qui andati a vuoto. Ad ammetterlo è lo stesso Consiglio nazionale di transizione libico. I negoziati in corso a Sirte «non continueranno all'infinito» - annunciava ieri il Consiglio mentre il suo portavoce Mahmoud Shammam, chiedeva un «rapido accordo» capace di «evitare una soluzione militare». In questo quadro anche la «delirante» proposta di Gheddafi acquista concretezza. Mettendola sul tavolo il raìs cerca d’insinuarsi nell’ennesimo stallo militare e negoziale. Punta a offrire una soluzione negoziata non solo per la Sirte, ma anche per l’oasi di Sabha. La regione lealista 400 chilometri a sud di Tripoli è forse ancor più problematica della Sirte. I ribelli proprio ieri hanno annunciato di controllarne la strada che scende da Tripoli, ma Sabha non è del tutto circondata, può ancora ricevere aiuti e rifornimenti dall’Algeria e garantire un rifugio sicuro al raìs. Ovviamente il bluff o l’offerta del Colonnello vanno anche visti nel quadro della complessa situazione d’instabilità creatasi a Tripoli e negli altri territori appena conquistati dai ribelli.

Anche ieri nella capitale è stata scoperta un’altra strage attribuita ai lealisti in fuga. In un edificio sulla strada dell’aeroporto intorno alla base della 32/a brigata del figlio di Gheddafi Khamis sono stati ritrovati i cadaveri carbonizzati di 170 prigionieri uccisi e bruciati. Subito dopo i ribelli hanno annunciato di aver ucciso lo stesso Khamis nel corso di un attacco a una colonna di mezzi blindati in fuga. Da febbraio ad oggi Khamis è stato dato per morto almeno altre tre volte e dunque la notizia è da prender con le molle. Meno ininfluenti sono invece le efferatezze dei suoi scherani. Stragi ed eccidi dell’ultima ora puntano ad innescare le rappresaglie dei vincitori e rendere impossibile la stabilizzazione di una Tripoli sull’orlo della catastrofe umanitaria.

Una capitale dove il Consiglio di Transizione deve non solo portare acqua, cibo e armi, ma anche far tacere le armi, fermare il gioco atroce delle vendette e colmare un solco di sangue capace di dividere per sempre il Paese.

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