"L'impegno politico era preciso: salvare le coop di Tangentopoli"

I verbali / Consorte e Donigaglia, lo scontro tra il manager e l'ex uomo Unipol: "Ci hai affossato". "Salvataggio impossibile"

Di qua Giovanni Donigaglia, l’uomo che s’è sempre immolato per il partito di Botte­ghe Oscur­e ai tempi di Tangentopoli e che og­gi è alla sbarra per il fallimento della Coopco­struttori di Argenta di cui è stato presidente fi­no al naufragio. Di là Giovanni Consorte, ex presidente di Unipol, «colpevole» di aver la­sciato affondare la più grande coop rossa e di aver mandato sul lastrico migliaia di dipen­denti e risparmiatori. Nell’aula del tribunale di Ferrara, il 28 ottobre, i due nemici faccia a faccia. Consorte respinge le accuse e rivela il tiepido tentativo del partito, almeno all’ini­zio, di dare ossigeno all’azienda in agonia: «Una volta,a un convegno,l’onorevole D’Ale­ma mi chiese come era messa la Coopcostrut­tori di Argenta e io gli risposi di non saperlo e che avevamo fatto un intervento tempo ad­dietro ma che non l’avevamo più seguita. Non c’è stata nessuna pressione.Direi che ho avuto molte più sollecitazioni, successiva­mente, quando la cooperativa entrò nella Prodi bis per il discorso dei soci. E ne ho avute anche da Fassino ( nella foto ) ricordo, da Mon­tanari e anche dalla Lega, Un po’ da tutti».

Nei fatti, però, la coop di Argenta viene ab­bandonata a se stessa a vantaggio della coop gemella Cmc di Ravenna, messa altrettanto male, che Consorte riesce a salvare. L’ex nu­mero uno di Unipol nega favoritismi. Spiega perché la finanziaria Finec non intervenne né prima né a ridosso del crac: «Per le no­stre valutazioni, la situazione era drammatica dal punto di vista fi­nanziario e patrimoniale. Ci venne chiesto di esaminare la situazione economica dalla lega delle coop(...). C’era un indebitamento di oltre 240 mi­lioni (...) quattro volte il patri­monio netto rettificato». Si pen­sò a come intervenire, si studiò il da farsi, «ma era la storia di una morte an­nunciata » e per questo si evitò «un intervento al buio» anche quando la Lega Coop pensò di intraprendere la strada del finanziamento da 30 milioni, il cosiddetto «piano Cofiri» avalla­to dalle assicurazioni. Consorte vedeva nero già nel ’97 («dicemmo che entro due o tre an­ni l­a cooperativa si sarebbe avvitata su se stes­sa per i debiti») al contrario di Donigaglia «che sosteneva come la situazione della coop fosse assolutamente gestibile». In aula Donigaglia non cede rispetto a quanto raccontato nella precedente udienza («è Consorte l’uomo che mi ha ammazzato più di tutti, che ha ammazzato tutti noi, è lui la bestia nera»).

Parte da lontano, il presiden­te- imputato. Da quando in piena Tangento­poli viene avvertito al telefono che l’indagato Pizzarotti aveva visto sul tavolo di Di Pietro il suo mandato d’arresto.«Vuole sapere (Di Pie­tro, ndr ) se dai tangenti al Pci», mi dissero dal partito. Donigaglia scomoda l’ex segretario amministrativo Marcello Stefanini, che si preoccupava di ricordargli di dire la «verità», e cioè che i soldi al partito erano un finanzia­mento lecito. Per Donigaglia c’era«un impe­gno politico» a tutto tondo del Pds. Il presi­dente del collegio Francesco Caruso si incu­riosisce: «Ci vuole dire che lei ha la copertura del partito per le vicende della società per questa posizione che assume in Tangentopo­li? ». Donigaglia risponde a tono: «Il partito ha detto “devi dire la verità e difendere”. E io: “Ma andiamo in crisi, guardate io vado via, mi dimetto”».Il partito dice di no:«Devi resta­re lì perché se vai via diamo ragione a chi ti perseguita e ti dimostri colpevole. Altro che tu non hai fatto niente».

Questo era l’impe­gno, ribadisce Donigaglia: «C’era la decisio­ne politica della lega di aiutare le 6-7 coop coinvolte in Tangentopoli». Attraverso Pano­rama , tempo fa, il padrone di Argenta mandò un messaggio ai vecchi compagni del Pds: «Sapesse quanti compagni so­no venuti a trovarmi in cella per accertarsi che non mi lasciassi sfuggire mezza parola...».

L’im­pegno del Pci-Pds al salvatag­gio non verrà rispettato. An­che se, all’inizio, nonostante i debiti, i segnali di un aiuto per scongiurare il crac sembravano in­coraggianti. Ma durarono poco. Do­nigaglia si incontrò ( e si scontrò subito) con Consorte, dopodiché chiese aiuto alla lega della coop, quindi andò a Roma, alla presi­denza del Consiglio ( premier D’Alema)dove gli garantirono un intervento a favore della coop. Si pensava a un piano di ristrutturazio­ne ma, gira e rigira, dice Donigaglia in aula, al­la sua coop non ci penserà più nessuno. Di­scorso diverso per la Cmc di Ravenna che ven­ne aiutata «nonostante avesse un indice di al­ta probabilità di fallimento (...).

Noi fino al 2001 avevamo un bilancio con gli indici strut­turali migliori. Quindi non è vero che noi aves­simo un indebitamente superiore (...). Il loro era di 497 miliardi, il nostro di 425. L’azienda poteva essere salvata...».

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