La tesi del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar secondo la quale sperare la salvezza eterna per tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni credo, non è per nulla contrario alla fede cristiana (una coraggiosa riflessione escatologica ancorata agli insegnamenti dei Padri della Chiesa che la ben nota capacità di sintesi dei giornali è solita semplificare nella formula tanto banale quanto equivoca dell’«inferno vuoto»), luogo comune per luogo comune, potrebbe essere perfettamente traslata dalle Sacre Letture alla letteratura profana. Ciò che von Balthasar replicava ai suoi critici - «è l’uomo che condanna se stesso rifiutandosi in maniera definitiva all’amore, Dio non condanna alcuno» - oggi la Chiesa lo ripete ai critici tout court: è lo scrittore semmai che si condanna rifiutando la Parola, noi le ascoltiamo tutte.
Santa Romana Chiesa, una mamma gelosissima dei suoi figli, tutti, non opera con i tempi dell’Uomo, ma secondo i suoi propri. E negli ultimi due millenni ha dimostrato di saper arrivare, forte della Fede, della Speranza, della Carità, e della pazienza, molto più in là di quanto molti uomini dal senno frettoloso siano di solito disposti ad ammettere. Le chiavi di San Pietro aprono gli enigmi più tenaci.
Chi lo avrebbe creduto? Eppure il Vaticano, attraverso uno dei suoi think tank più autorevoli, L’Osservatore Romano, ammette che forse un autore maledetto per decreto papale come Oscar Wilde non rappresenta soltanto un dandy esteta ottocentesco o un’icona gay novecentesca, anzi: come ha scritto due giorni fa il quotidiano della Santa sede commentando il nuovo saggio di Paolo Gulisano Il ritratto di Oscar Wilde pubblicato da Ancora, il grande scrittore irlandese «è una delle personalità del XIX secolo che con più lucidità ha analizzato la modernità e i suoi limiti, senza dimenticare il suo incontro con il cattolicesimo e con lo stesso Pio IX che gli diede udienza nel 1877». Ecco quindi l’importanza di essere un uomo costantemente alla ricerca del Bello e del Buono che dietro la maschera dell’amoralità si interrogava e invitava a porsi il problema di ciò che fosse giusto o sbagliato, vero o falso: «un uomo scomodo e urticante che preferì sempre la saggezza ai luoghi comuni combattendo tenacemente contro le false certezze del suo tempo». Una sorta di imprimatur se non sulla vita almeno sull’opera di un autore orgogliosamente ateo e fieramente omosessuale che una volta disse: «La religione cattolica è solo per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo anche quella anglicana». Ma che forse oggi, di fronte alla riabilitazione pontifica, citerebbe un altro suo stesso aforisma: «Ogni volta che la gente è d’accordo con me, provo la sensazione di avere torto».
Del resto, non molto tempo fa il gesuita Antonio Spadaro, critico letterario di La Civiltà Cattolica, la stessa che mezzo secolo prima definì Oscar Wilde «demoniacamente spavaldo», aveva già abbondantemente «perdonato» lo scrittore irlandese intravedendo nell’ultimo suo libro, La ballata dal carcere di Reading, i segni della Grazia. Un po’ di tempo prima - segno che nella sua lentezza la Chiesa arriva comunque in anticipo rispetto al buonismo laicamente corretto - che Roberto Benigni lo beatificasse sul palco dell’Ariston nell’ultimo festival di Sanremo.
Da parte sua, dallo stesso pulpito dell’autorevole e ultraortodosso foglio culturale dei gesuiti, padre Spadaro negli ultimi anni ha riscattato diversi autori «eretici»: ha riletto cristianamente il «blasfemo» Pier Vittorio Tondelli, ha assolto il nichilista Raymond Carver, ha riabbracciato ecumenicamente il «politeista» Carlo Coccioli, ha sdoganato i testi dei «cattivi maestri» della musica pop, come il «maledetto» Nick Cave. Moriremo revisionisti?
Pochi giorni fa, lo stesso Osservatore Romano ha esaltato l’ultimo film di Harry Potter come il migliore della saga, sottolineando come la pellicola tracci ottimamente «la linea di demarcazione tra chi opera il bene e chi compie il male, e l’identificazione del lettore e dello spettatore non fa fatica a indirizzarsi verso i primi... Si è certi che compiere il bene è la cosa giusta da fare. E si comprende anche come questo a volte costi fatica, sacrificio». Sono lontani i tempi - eppure era solo il 2003 - in cui l’allora cardinal Joseph Ratzinger a proposito dell’opera di J. K. Rowling si congratulò con la studiosa tedesca anti maghetto Gabriele Kuby per come fosse riuscita a mettere in luce la «seduzione corruttrice» del malefico Harry nei confronti dei giovani...
Le ragioni della Grazia sono insondabili e i percorsi del perdono accidentati. Ma tutto, alla fine, si compie. Che l’inferno dei brutti libri esista è un dogma di fede, ma nessuno ci proibisce di sperare che sia vuoto. Ci sono tanti cattivi scrittori, ma nessun autore può credersi per sempre un maledetto. È solo questione di tempi.
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