Linate, gli ostaggi liberati riabbracciano i figli

I due turisti si difendono dalle accuse: «Non siamo stati incoscienti»

Andrea Fontana

Alla fine tornano a casa nel giorno programmato prima della partenza nello Yemen: il 7 gennaio previsto nel calendario della vacanza. Come se non fosse successo nulla e il rapimento, la prigionia e la liberazione fossero un’invenzione, Enzo Bottillo appena sceso dal volo dell’Air One ci prova: «Domani mattina devo andare a lavorare». Invece no. Il cinquantunenne di Basiglio e la compagna Patrizia Rossi, partiti due giorni dopo Natale da semplici turisti in cerca d’avventura, trovano all’aeroporto una ventina di parenti e amici, una selva di flash e di inquadrature, mentre due interi paesi a sud di Milano li aspettano per festeggiare il rientro e lo scampato pericolo.
Un urlo e un lungo abbraccio sono i segni dell’entusiasmo di chi è stato in ansia per cinque giorni ed esplode intorno alle 20 quando vede i due sbucare dietro l’uscita 5 dell’aeroporto di Linate: in prima fila Luca, ventiquattrenne figlio di Enzo, e le due adolescenti Veronica ed Elena con un mazzo di fiori per mamma Patrizia. «È finita, adesso è finita» esordisce Bottillo sbarbato, sorridente e disponibile. Più provata la sua compagna quarantaquattrenne, tanto che quando perde la sua mano stretta, si volta subito a cercarla: «Non vado da nessuna parte senza di lei». In una saletta dello scalo milanese il primo minuto di vero ritorno a casa: solo i genitori, i fratelli e i cugini da guardare negli occhi.
Ma è solo un minuto, perché la prima settimana dell’anno trascorsa da ostaggi è ancora da raccontare, dopo averla ripercorsa tutta leggendo i giornali durante l’ora di volo da Fiumicino a Milano. «Ho visto anche circolare delle fotografie di quando stavo con Patrizia a Cuba, non so proprio dove siete andati a prenderle» scherza con i giornalisti il proprietario di autoscuole di Basiglio. Giornate di tensione sotto il controllo continuo della banda di rapitori, raccontano, ma non sotto la minaccia dei mitra. «Siamo stati trattati in modo dignitoso - spiegano i due mano nella mano -, a parte le ultime due ore, quando la polizia ha scoperto il covo e quegli ultimi drammatici minuti di autentico terrore». Elena e Veronica pendono dalle labbra della mamma. «Rivedere i propri cari quando ieri mattina avevamo quasi la certezza di non vederli più è bellissimo» dice a bassa voce la donna di Landriano nel Pavese, che poi parla dei rapitori: «Uno di quelli che sembrava il più umano e che mi ha anche regalato una collana, si è poi rivelato il più bastardo e ieri mattina mi ha puntato il fucile nella pancia». E la collana, che fine ha fatto? «Ce l’ho ancora - ribatte -, ma non so cosa ne farò».
A chi fa notare che forse la vacanza nello Yemen organizzata dall’agenzia «Avventure nel mondo» era troppo pericolosa, un viaggio da incoscienti: «Non è giusto dire questo - precisa tranquillo Bottillo -. Nel sito archeologico dove siamo stati rapiti non c’è neppure l’obbligo della scorta come succede invece da altre parti. Ogni anno nello Yemen ci vanno per turismo migliaia di persone e moltissimi italiani. Poteva succedere a chiunque». Ma di fronte all’offerta del governo yemenita che li ha invitati per un nuovo soggiorno, i due sorridono e alzano le spalle: «Chissà...». Poi Enzo Bottillo aggiunge: «Non so dire se tornerò nello Yemen oppure no, di certo so che non voglio farmi condizionare la vita da questa vicenda».

Poi ritorna con gli occhi all’abbraccio della sua famiglia e insieme fanno ritorno a Basiglio. Poco dopo le 21 la villetta color panna di via Renoncino ritrova i suoi abitanti, oggi la festa di «Bentornati» organizzata da Luca Bottillo che ha promesso: «Suonerò per papà».

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