Litri e litri di camomilla, per calmare i nervi al consesso internazionale

Caro Granzotto, come volevasi dimostrare: sull’onda dell’emotività e terrorizzato dalla prospettiva di perdere qualche decina di migliaia di voti, il governo annuncia l’immancabile «momento di riflessione» sul nucleare. Tradotto in volgare: il nucleare in Italia è morto e sepolto, idealmente travolto dallo tsunami giapponese. Le parole del ministro Prestigiacomo riportate ieri dai giornali sono emblematiche della pochezza e della vigliaccheria della nostra classe politica («Dobbiamo uscirne, ma in maniera soft... Non possiamo rischiare le prossime elezioni»). Ecco, le prossime elezioni: ma che governo è quello che ha come unico obiettivo quello di essere rieletto? Un governo degno di questo nome deve prendere le decisioni che servono al Paese per il prossimo quarto di secolo, non tirare a campare con l’occhio fisso sui sondaggi. Berlusconi si pulisca la bocca e si prepari ad andare a baciare di nuovo la mano a Gheddafi o a chi prenderà il suo posto, perché io alla luce e al riscaldamento in casa non ci rinuncio. Un sempre più perplesso elettore di centrodestra, nuclearista convinto (Centrali? Sì, grazie, anche nel mio comune di residenza).
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Qualcosa deve essere successo, caro Falzoni. Che so, le macchie solari che si son messe a sparare raggi cosmici a più non posso, quegli uccelli del malaugurio dei Maya che previdero la fine del mondo di qui a poco, ma qualcosa deve essere accaduto. Se no come spiegare che all’improvviso i governanti di (quasi) tutto il mondo hanno perso la trebisonda? Va in tilt una centrale di vecchia generazione che pure ha bene o male resistito a un terremoto di magnitudo 8,9, e trascurando il contesto generale (20 mila morti a causa dello tsunami) ecco tutti a saltar su e dire: stop con il programma nucleare e via al «momento di riflessione». Nel 1755 un terremoto (seguito da maremoto, come allora era detto lo tsunami) spazzò via Lisbona. 60 mila morti. I Lumi - era il loro secolo -, Voltaire in testa, sostennero che la causa dell’ecatombe era l’innaturale impulso umano ad agglomerarsi, ad ammassarsi in città sempre più grandi. Non avevano tutti i torti: se al posto di Lisbona ci fosse stato un villaggio, si sarebbero contati meno morti. Però era un ragionamento del piffero, tanto che passata la paura, si ricostruì Lisbona sulle macerie di Lisbona. Ed è ancora lì. Con dieci e passa volte abitanti di quanti ne contava nel 1755. Oggi come allora i Lumi - e per di più sulla «spinta emozionale», per dirla col ministro Prestigiacomo che in quel dannato fuori onda ha poi definito meglio la natura della «spinta» - hanno tagliato corto: dal mai più città popolose al mai più centrali nucleari, anche se quelle in programma sono di due generazioni più avanzate e dunque più sicure di quella di Fukushima. E un terremoto più violento dei quasi nove gradi di magnitudo registrati in Giappone non è faccenda proprio di tutti i giorni. Stessa furia irrazionale nella corsa a voler far fuori Gheddafi schierando una quantità impressionante di navi e aerei. Macchine di morte. Dice il nostro saggio presidente Napolitano che l’«intervento», cioè l’aggressione, si rende necessario «per portare in Libia la pace, la libertà e i diritti e salvaguardare la vita dei civili». Sarà, ma a parte il fatto che nessuno garantisce la tenuta democratica - pace, libertà e diritti - dei «ribelli», li abbiamo visti tutti quei «civili»: kalashnikov in pugno o alle Flak antiaeree o sulle torrette dei carri armati...

Basta non indossare la divisa per essere giudicati civili pacifici e inermi? Da difendere con un uragano di missili lanciati su Tripoli (città dove qualche civile ci sarà pure)? Sa cosa ci vorrebbe, caro Falzoni? Milioni di ettolitri di camomilla, per calmare i nervi saltati al così detto consesso internazionale. Milioni. Se bastano.
Paolo Granzotto

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