Politica

La logica dell’intimidazione

Un articolo dell'Unità che parlava con cautela e senza scomuniche di un possibile coinvolgimento di Roberto Colaninno e Mediaset in un nuovo assetto proprietario di Telecom Italia, viene giudicato da Sergio Romano come indice di un atteggiamento opportunistico, scetticamente disincantato e amorale. Dopo i guasti provocati dall'allontanamento via minacce governative di At&t, affidare un ruolo leader in Telecom Italia all'imprenditore che ha inventato un'impresa di telecomunicazioni efficiente come Omnitel e a una società leader nelle tv; che senza gli ostacoli della politica oggi occuperebbe internazionalmente il posto di Rupert Murdoch, ben lungi dall'essere un segno di opportunismo, sarebbe in realtà la scelta più razionale. E, infatti, il giorno dopo il direttore dell'Unità l'ha attaccata. Romano è un commentatore intelligente, ogni tanto l'imbrocca, talvolta no. Il problema non è lui, ma quanto certe idee siano espressione di quel piccolo establishment (grandi banche, imprenditori indebitati e stampa «indipendente») che occupa malamente il centro della società italiana e senza più virtù, cerca di condizionare il potere italiano in tutte le articolazioni, politiche, economiche, culturali.
Per il piccolo establishment sarebbe l'ora di una profonda riflessione: i suoi protagonisti sono affannati e azzoppati. Il successo dell'idea geniale di «far squadra» con la sinistra e in particolare con la Cgil si può misurare nelle richieste contrattuali dei sindacati metalmeccanici, tanti soldi e nessuna apertura sulla produttività. L'altro colpo di astuzia, poi, è stato sostenere con il noto editoriale di Paolo Mieli, il centrosinistra prodiano: i risultati di questa genialata sono davanti agli occhi di tutti. Al di là del sistema di potere meno evidente del presidente del Consiglio su cui interviene oggi il Giornale con un'argomentata inchiesta, basta considerare la politica d'intimidazione verso gli imprenditori italiani (dai Benetton a Marco Tronchetti Provera) e internazionali, compresa l'At&t, l'uso delle banche amiche (con contorno di fondazioni e società statali egemonizzate) come una sorta di Gazprom, per valutare il danno che al Paese ha fatto l'irresponsabile cinismo di un piccolo establishment che si schiera politicamente con chiunque (dando incredibili titoli di liberalizzatori a una banda di emuli di Hugo Chavez) pur di proteggere il proprio evanescente potere.
I guasti che in meno di undici mesi ha combinato Romano Prodi sono gravi. E in questo quadro è indispensabile bloccare una deriva che anche una traballante Europa, priva di un asse politico chiaro, trova inquietante. Vanno subito trovati i compromessi che possono dare stabilità e insieme una forte concorrenza (innanzi tutto tra le grandi banche) al sistema economico nazionale. Per questo obiettivo non solo è utile sgombrare il governo in carica il più in fretta possibile (qualsiasi cosa lo seguirà, sarà meglio) ma anche spiegare a quelli del piccolo establishment che non è più il tempo dei ditini alzati.

D'ora in poi in politica, nella cultura, in economia e finanza il potere andrà guadagnato con il sudore della fronte (e delle idee) non con birignao senza costrutto e autorità morale.
Lodovico Festa

Commenti