La logica pd: chi non firma è un bunga bunga

Caro Granzotto, leggendo la sua rubrica sono stata colpita dal racconto dell’attivista del Pd che ha insultato una signora durante la raccolta delle firme del febbraio scorso. Vorrei raccontarle che cosa è accaduto a me. Abito a Egna in provincia di Bolzano, comune di 5000 abitanti a maggioranza tedesca. Sabato 19 febbraio stavo percorrendo i portici di Egna ed ero al telefono con una mia amica. All’inizio dei portici c’era il gazebo del Pd e il militante mi ha chiesto se firmavo. Ho risposto che non firmavo perché sono per Berlusconi. Apriti o cielo! Il militante ha iniziato ad applaudire urlando «brava brava bunga bunga» saltellando a destra e sinistra. Dopo aver finito la mia telefonata e le mie commissioni sono tornata verso il gazebo perché non trovavo giusto essere trattata in quel modo. In quel momento al gazebo oltre al militante di prima c’era il segretario del Pd di Egna e una signora (assessore delle pari opportunità del Comune e moglie del militante). Interpellato, il militante ha iniziato di nuovo a saltellare a destra e sinistra dicendo di nuovo «brava brava bunga bunga» aggiungendo che se ho una figlia posso mandarla da Berlusconi a fare bunga bunga e mi ha invitato a denunciarlo. I presenti non hanno proferito parola, anzi il segretario del partito mi ha detto: «Sa ci sono dei problemi nel governo» e io ho riposto: «Se i problemi pensate di risolverli con queste persone, sono sempre più contenta di aver votato Berlusconi». Una lettera come questa l’ho spedita il lunedì seguente al quotidiano Alto Adige. Lettera mai pubblicata, chissà come mai.
Egna (Bolzano)

Quel militante pidiellino era un cialtrone, gentile lettrice. Cialtrone e cafone, cafone e cretino. Per non dire altro. Che rappresenti la cialtroneria, la cafonaggine e la cretineria della tribù «sinceramente democratica» è poi ampiamente dimostrato dal comportamento del segretario del Pd e dell’assessora del medesimo partito. Quest’ultima, vabbé, è moglie del fesso giullare e dunque se ne doveva stare buona e zitta. Ma il segretario avrebbe potuto tacitarlo o almeno rivolgere a lei delle scuse per le villanie che il suddetto imbecille le aveva rivolto. Questo se non le avesse sottoscritte in cuor suo e chi tace, si sa, acconsente. Che poi l’Alto Adige si sia guardato bene dal pubblicare la sua lettera non è cosa che stupisce. Il quotidiano fa parte del gruppo Espresso-Repubblica il quale, razzolando nel bunga bunga come i maiali razzolano nel truogolo, sia naturalmente detto per metafora, applica una occhiuta censura su tutto ciò che è critica al movimento bungabunghista e ai suoi grevi e ottusi alfieri. Dirsi democratici e irridere offendendolo chi non s’allinea prestamente alla deriva antiberlusconiana è una delle tante contraddizioni della sinistra e una delle ragioni, se non la prima, dell’inarrestabile declinare del suo consenso. Che essa crede di poter tamponare - ed ecco la ragione degli insulti a chi diserta - con appelli, proclami e raccolte di firme, con piazze virtuali e cartacee che la illudono di essere ancora un movimento «di massa». Disposti, naturalmente, a qualsiasi gabola pur che il volume delle firme raggiunga proporzioni imponenti. Come s’è visto per i dieci milioni di adesioni al manifesto «Berlusconi si deve dimettere» vantate da Bersani e da una Bindi in istato di sovraeccitazione. Nove milioni e novecento novantamila patacche.

Sempre a proposito di metodi disinvolti, una lettrice del Foglio, Assuntina Morresi, segnalò che nei giorni della raccolta dei «dieci milioni» di firme, essendo passati davanti a un banchetto del Pd anche suo figlio e l’amico che era con lui furono sollecitati a dare la loro adesione: «Niente di male, se non fosse che mio figlio ha quindici anni e il suo amico dodici, e l’età la dimostrano tutta. Dopo il tredicenne sul palco del Palasharp, pure le firme dei minorenni accanto a quelle di Paperino e Togliatti? E quanti minorenni avevano già firmato?».
Paolo Granzotto

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