Controcultura

L'operaio delle vette la cui morte uccise la follia dei Brigatisti

Lo storico Sergio Luzzatto ricostruisce la vita coraggiosa del sindacalista Guido Rossa

L'operaio delle vette la cui morte uccise la follia dei Brigatisti

Il 24 gennaio 1979, l'operaio Guido Rossa dell'Italsider esce mentre è ancora buio da casa sua, nel popolare quartiere genovese di Oregina, si sta recando a lavorare. Sale sulla Fiat 850 e lì viene ucciso da un commando delle Brigate rosse composto da Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi. Doveva essere una gambizzazione, per punire Rossa di essere intervenuto in fabbrica denunciando un militante delle Br, Francesco Berardi, che faceva propaganda all'interno dell'Italsider. Guagliardo effettivamente spara alle gambe, ma Riccardo Dura no. Pare abbia avuto a dire in seguito: «Le spie si uccidono».

Ma a morire quel 24 gennaio 1979 non è solo Rossa. Muoiono le Brigate rosse. Rossa è un rappresentante sindacale, tutti lo conoscono all'Italsider, per impegno, per decisione, per l'attenzione che pone nella tutela del lavoro. Rossa è comunista e sposa la linea Berlinguer, per lui i terroristi non sono compagni che sbagliano, per lui vanno allontanati, arrestati, fermati prima che inquinino per sempre la possibilità di cambiare in meglio il Paese. Ecco perché la denuncia, portata avanti con coraggio, in una fabbrica dove i più fanno finta di non vedere chi lascia i volantini che inneggiano alla lotta armata. Ecco perché con la sua morte la Genova operaia insorge, dice basta, riempie le piazze. E il sindacalista Luciano Lama dal palco dice chiaro e tondo che l'atteggiamento di chi si è posizionato sulla linea di né con lo Stato né con le Br ha contribuito alla morte di Rossa: «Riconosciamo sinceramente che se il gesto di coraggio civile compiuto dal compagno Rossa non fosse rimasto troppo isolato, se attorno a lui, nel momento più arduo della prova, noi tutti, a cominciare dagli operai dell'Italsider, fossimo stati un solo grande testimone schierato contro il nemico della democrazia, forse la vita di questo nostro compagno non sarebbe stata spezzata».

Questa parte della vicenda umana di Guido Rossa, che trovate nel bel volume appena pubblicato da Sergio Luzzatto - Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa (Einaudi, pagg. 238, euro 16) - è la più nota e, per quanto fondamentale, la meno interessante del saggio. Luzzatto, all'epoca dei fatti giovane studente liceale genovese profondamente colpito dall'omicidio, parte da un impegno preciso: «Raccontare di Rossa, oltre alla morte, la vita. Perché i suoi quarantaquattro anni di esistenza non vengano ridotti una volta ancora, ai suoi ultimi quattro mesi o, peggio, ai suoi ultimi quattro minuti. Perché di un uomo intenso, complicato, sanguigno, non circoli unicamente il santino politico del martire esangue». Questo impegno viene portato perfettamente a termine con una biografia intensa, quasi un romanzo, che racconta attraverso Rossa un'epoca speciale in cui la classe operaia non andò in paradiso ma certo ci provò e si scoprì diversa.

Rossa è stato un fortissimo alpinista e pur con mezzi limitatissimi si trasformò, sin da giovane, in operaio delle cime portando avanti arrampicate ad alto livello e anche una spedizione Himalayana sul Lantang Lirung. Rossa poi è stato anche alpino, paracadutista militare, fotografo capace di raccontare la storia di Genova con scatti fatti con una prospettiva operaia tutta nuova. Tanto da finire invitato nei salotti della borghesia chic genovese interessata ai fermenti del Sessantotto. Insomma un uomo a tutto tondo, un alpinista/paracadutista planato in mezzo ai capannoni per cercare una via nuova.

Via che gli fu negata da chi conosceva solo la via stretta, sporca e chiusa sul fondo degli agguati a tradimento.

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