Roma - La mappa potrebbe essere definitiva se al Viminale non arrivassero continui «no». Nessuna regione o provincia vuole i centri di identificazione per immigrati (Cie), anche se si è cercato di chiedere la disponibilità proprio a quelle zone che non hanno mai ospitato strutture di questo tipo. Falconara si rifiuta, Terni anche, la Toscana non gradisce. La lista dei «no» è lunga, secondo il principio del «non nella mia terra».
Ma il Viminale vuole stringere i tempi. Il ministro Roberto Maroni è intenzionato a portare i posti disponibili nei Cie dagli attuali 1.160 (per dieci centri) ad almeno 2.500 entro l’anno, e fino a 4.000 entro il triennio.
Occorrono nuove strutture, e se ne parlerà oggi al Viminale in un comitato interministeriale di monitoraggio della legge Bossi-Fini convocato da Maroni. La novità, adesso, è il nuovo decreto legge sulla sicurezza e contro le violenze sessuali, pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale. A partire da oggi il tempo di permanenza dei clandestini nei Cie può essere esteso fino a sei mesi (erano due) «in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato»: in questo modo si avranno più settimane a disposizione per una identificazione certa e dunque per un rimpatrio certo. Sarà quindi necessario avere più posti nei centri di identificazione, già in allarme sovraffollamento. A dimostrazione della volontà di ampliare i centri già dal 2009, l’ultimo decreto sulla sicurezza stanzia 35 milioni di euro già per quest’anno, per un totale di 139 milioni di euro entro la fine del 2011.
Il piano del Viminale prevede l’utilizzo di ex caserme o di aree demaniali della Difesa su cui costruire i nuovi centri. In un primo elenco si è tenuta in considerazione in particolare la vicinanza agli aeroporti e la lontananza dai centri più popolosi. Le zone individuate secondo una prima ricognizione, ancora lontane dall’essere definitive, sono Caserta, Boscomantico (Verona), Tessera (Venezia), Grosseto, Campi Bisenzio (Firenze), Falconara (Ancona), Vasto (Chieti). Nei giorni scorsi si è parlato anche di un centro in Umbria, a Terni. La Regione ha subito reagito con un assoluto rifiuto e il sindaco Paolo Raffaelli ha poi ringraziato Maroni per la «smentita». Ma la «questione non è chiusa», ha ammesso.
Il caso umbro (indipendentemente dalla realizzazione del centro) è emblematico di come le Regioni, anche a giunta di centrosinistra, si oppongano ferocemente a ogni ipotesi di Cie nel loro territorio: l’assessore alle Politiche Sociali della giunta umbra, Damiano Stufara, ha motivato così il «no»: «Pur rinnovando la nostra volontà di una seria e fattiva collaborazione con il ministero in materia d’immigrazione, ribadiamo il nostro dissenso alla realizzazione di nuovi lager in Italia e l’indisponibilità alla creazione di una tale struttura in Umbria». Sono lager, quindi Perugia non li vuole. E la provincia di Ancona invita a creare un «fronte istituzionale» di opposizione: «È un attacco alla cultura democratica», si difende il presidente, Patrizia Casagrande.
Ma il gioco del rimpallo ha stancato il Viminale: «Abbiamo un impegno con gli elettori, perché l’effettività delle espulsioni era inserita nel programma elettorale del Pdl», spiega al Giornale il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. E il governo rispetterà quanto scritto prima delle elezioni: «Mi auguro che prevalga in tutti il buon senso. Il centro è un fattore di sicurezza e si smetterà di costringere i poliziotti a lunghe trasferte per accompagnare i clandestini in altre regioni. Tutti vogliono che le strade non siano battute da clandestini, ma tutti vogliono che il centro più vicino non sia a meno di 500 chilometri di distanza».
Il Viminale quindi andrà avanti: «Se vogliamo che le espulsioni siano una cosa seria e non virtuale, bisogna moltiplicare i luoghi dove vengono identificati i clandestini». Posti e strutture vanno quindi «raddoppiate». Mantovano non si sbilancia sulla lista: «L’elenco che circola non è assolutamente ufficiale». Ma una certezza c’è: è necessario prima di tutto costruire nuovi centri «nelle regioni che non ne hanno».
Maroni ha incontrato ieri il sindaco di Verona Flavio Tosi e il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, per parlare di sicurezza ma anche dell’eventualità di un nuovo Cie nel veronese.
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