C’è poco fisco nella manovra, come accusano sinistra e Cgil? A vedere l’elenco delle misure fiscali contenute nel decreto, che qui pubblichiamo (e forse, nei meandri della relazione tecnica, ci è sfuggito qualcosa), si potrebbe dire che di fisco, in manovra, ce n’è tanto, persin troppo. Si tratta di misure indirizzate, per la massima parte, alla lotta all’evasione, da cui si attendono 9 miliardi e mezzo in due anni. Ma è bene ricordare, come ci dice uno studio del Sole 24 Ore, che nel triennio 2011-2013, le nuove norme fiscali dovrebbero portare circa 20 miliardi di euro. Riepilogando: quasi il 40 per cento della manovra biennale 2011-2012 è fiscale; e l’impatto di queste misure strutturali farebbe raddoppiare la cifra a fine 2013. Se è poco o è molto, lo decidano i lettori.
È vero che l’evasione stimata nel nostro Paese è enorme, anzi abnorme: si parla di 120 miliardi di euro. Allo stesso tempo, la manovra contiene qualche misura dal sapore retrò: ad esempio, nel nuovo redditometro, si intravede un affievolimento dei diritti nel momento in cui l’onere della prova viene spostato dal fisco al contribuente (lo prevede anche Di Pietro nella sua «contromanovra», e non è un buon segno). I nuovi limiti al diritto di compensare debiti e crediti col fisco probabilmente non danno una mano alle imprese. La reintroduzione della tracciabilità dei contanti a livelli bassi è un po’ «alla Visco». La nuova disciplina sui fondi immobiliari, secondo il servizio studi del Senato, potrebbe far aumentare, e non diminuire, l’evasione. Lo stesso potrebbe accadere con la ritenuta d’acconto per i lavori di ristrutturazione. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate promette che il fisco «non colpirà nel mucchio, ma in modo selettivo», e ricorda che i diritti del contribuente possono essere fatti valere sempre, «sia prima che dopo il procedimento di accertamento». Attilio Befera è uomo d’onore, e siamo certi che sarà così.
Imprese e sindacati chiedono al governo, in particolare al ministro dell’Economia, la riforma del fisco. Le imprese italiane, ha ricordato Emma Marcegaglia, subiscono una tassazione media del 45% contro il 25% delle concorrenti tedesche. La pressione fiscale effettiva sui cittadini perbene è superiore al 50%. I sindacati sollecitano uno spostamento delle tasse dalla produzione, aziende e dipendenti, alla finanza. L’impressione che si ricava dalle «grandi manovre» alla vigilia del viaggio parlamentare della manovra economica non sono, a questo proposito, confortanti.
La tentazione sembra essere quella di allargare, fin dove possibile, i cordoni della borsa. Sarebbe uno sbaglio. Ma c’è anche chi propone, anzi ripropone, l’esclusione del costo del lavoro dall’imponibile Irap e la trasformazione degli incentivi alle imprese in crediti d’imposta. Perché non discuterne?