Una lotta di potere dietro molti attacchi

Corriere della Sera e la Repubblica hanno dedicato ieri al caso Alitalia osservazioni di merito aspre sulle tecnicalità dell'iniziativa. Le critiche, specialistiche, di Francesco Giavazzi e arruffate di Eugenio Scalfari, possono magari essere utili per valutare aspetti non secondari di un evento rilevante per l'economia italiana. Non convince comunque il loro refrain di fondo: non è cambiato niente da cinque mesi fa, si venderà ai francesi con più esuberi e con un miliardo e passa di euro sulle spalle degli italiani. I liberisti de’ noantri non paiono capire bene che cosa sta succedendo nel mondo: le nazionalizzazioni di banche in Inghilterra, l'intervento pubblico negli Usa per sistemare il sistema statale-privato che dava mutui al settore immobiliare, le scelte tedesche sui «fondi sovrani». In una fase di stretta economica, anche per difendere il mercato, vi è bisogno di intervenire sui fattori strategici. E per un Paese a vocazione turistica, con un Nord dai vasti scambi economici, un certo tipo di compagnia aerea di riferimento e il sistema aeroportuale sono strategici. Romano Prodi aveva «regalato» entrambe queste funzioni strategiche ad Air France. Ora si perseguono scelte attente agli interessi di fondo dell'Italia. La costituzione della nuova compagnia, il ruolo centrale di Intesa, la mobilitazione di una folta schiera di imprenditori hanno questo senso e le trattative, ripartite anche con Parigi, hanno questo orizzonte.
Dietro agli attacchi di Giavazzi e Scalfari si intravede anche una partecipazione alla lotta di potere in corso nel sistema bancario. Giavazzi affronta il tema con reticenza. Aveva, però, già scritto che secondo lui il superamento del sistema duale nella governance in Mediobanca era sbagliato perché avrebbe portato l'istituto a intervenire in un'operazione ingiustificata come il salvataggio della compagnia di bandiera. In Giavazzi c'è una contraddizione di fondo: rivendica il ruolo storico di Mediobanca, il cui testimone sarebbe affidato al management, e insieme vuole che la gloriosa banca d'affari non intervenga nei passaggi centrali del potere economico secondo tradizione. D'altra parte per intervenire, però, ci vuole una forte e caratterizzata guida che c'era con Vincenzo Maranghi e che oggi appare appannata. È più coerente Marco Onado sul Sole 24 ore quando chiede a Piazzetta Cuccia di dismettere parte degli antichi ruoli.
La tesi di Scalfari è, invece, che l'operazione Alitalia si legge solo nella logica del potere berlusconiano. Per sostenere questa tesi deve rimuovere dal suo articolo il nome assai poco berlusconiano di Roberto Colaninno e sostituire il ruolo centrale di Intesa con quello, al momento marginale, di Mediobanca.
La verità è che il governo Berlusconi non guarda alle tessere in tasca di chi opera anche su missioni che s'intrecciano agli interessi pubblici, al contrario di quel che faceva Prodi per cui ogni business era occasione per costruire cordate «amiche». Per scatenare questo attacco, Scalfari deve rappresentare quella poliforme personalità che è Cesare Geronzi come una pedina berlusconiana sperando, more solito, che «la giustizia» liberi l'Italia dal banchiere romano.

Peraltro appare evidente come l'amichetto di lungo corso di Scalfari, Carlo De Benedetti, che pure sperava in rimescolamenti dei poteri finanziari per acquisire più spazio, sia sempre più stanco delle guerre senza senso che se non sono vittoriose segnalano «la fine dell'opinione pubblica nazionale», e che voglia una sinistra capace di un'opposizione costruttiva. Forse così si spiega anche perché l'assai debenedettian-collegato Renato Soru abbia scelto una serena professionista per l'Unità.

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