Luchetti: «Il mio Accio è Huckleberry Finn»

«Mi è piaciuto raccontare un personaggio candidamente di destra. Spero che i giovani non pensino a un reperto lontano. Dietro le scelte di quei ragazzi ci sono gli estremismi di oggi»

da Roma

Daniele Luchetti è tranquillo. Non firmava una regia dai tempi di Dillo con parole mie, commedia sentimentale del 2003. Sa che il suo nuovo film farà politicamente discutere, ma non intende fasciarsi la testa anzitempo. Del resto, s’è fatto le ossa con Il portaborse.
Allora, questo Accio Benassi è più Huckleberry Finn o Lacombe Lucien?
«Più Huckleberry Finn, direi. Sarà perché il film, giorno dopo giorno, sta assumendo un tono lieve e intenso insieme, meno politico, più umano, a tratti addirittura comico, rispetto al libro di Pennacchi. Insomma, provo a scherzare su quel periodo (nel film si va dal 1963 al 1974, ndr), privilegiando l’elemento antropologico. Naturalmente, i personaggi, “rossi” e “neri”, non sono visti dall’alto in basso, non li prendo in giro, anzi sto cercando di smorzare i tratti di commedia per rendere lo sguardo consapevolmente autoironico».
Eppure Accio sembra uscire, fortunatamente vivo, da un capitolo di Cuori neri di Luca Telese.
«Non ho letto volutamente Telese. Leggere o vedere cose su quegli anni mi avrebbe messo fuori pista. Le dirò di più: ho azzerato la mia memoria visiva, tanto quel periodo è irriproducibile al cinema».
Lei ripete che in Italia non è mai stato fatto un film su un fascista-mostro.
«Confermo. Io appartengo a una generazione cresciuta con slogan come “Uccidere un fascista non è un reato”, si pensava al missino come a un topo di fogna. Così, mi è piaciuto raccontare un personaggio candidamente di destra, però piantato in anni di preterrorismo bombarolo. D’altro canto, Accio è un giovane tormentato, uno che fa le cose sbagliate per eccesso di zelo, conservando il suo sguardo teso e vivo. Non lo vedo come un personaggio negativo. La chiave giusta consiste nel raccontarlo stando anche dalla sua parte. E poi la sua storia è un modo per descrivere la spaccatura, più antropologica che ideologica, che attraversa una famiglia italiana».
Cosa si aspetta dal pubblico?
«Mi aspetto che lo spettatore giovane non veda il film come un reperto lontano, distante nel tempo. Dietro le scelte dei due fratelli estremisti ci sono, in controluce, riferimenti agli estremismi di oggi. Ma riecheggiando un tono da feroce ballata malinconica, da cappuccino dopo il pestaggio».
Mai stato estremista, lei?
«Avevo amici nell’Autonomia, nei gruppetti, ho visto caricare le pistole ai cortei. Ma io no, ero iscritto alla Fgci, passavo già allora per un riformista socialdemocratico».
E se la criticassero da sinistra per «troppa simpatia» verso il fascista?
«Accio è un negazionista dell’Olocausto. Quindi sbaglia.

E però alla fine troverà una sua forma di redenzione sociale. In ogni caso, il carattere fascista è un carattere italiano, prescinderne inseguendo una sorta di correttezza politica significa girare le spalle alla realtà. Fine del discorso».

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