Roma - Paura, no. «Non ci spaventano le elezioni anticipate. Se dovesse accadere, saremo pronti. E il messaggio sarà chiaro, e cioè che avevamo ragione noi». Ma insomma, andare alle urne in questo momento non è certo in cima alla lista dei desideri dell’Udc. «La Lega - spiega Pier Ferdinando Casini - vuole votare subito perché ha capito che l’insoddisfazione, ora pagata dal Pdl, a breve sarà pagata anche da loro. Il Nord è stanco delle promesse non mantenute. Però le elezioni non servono».
Che serve, allora? «É necessario - risponde - un cambio di marcia perché il Paese sta andando a rotoli. La frana della casa dei gladiatori di Pompei è una metafora del crollo italiano. Per questo diciamo alla maggioranza: svegliatevi, uscite dalla vostra sindrome di autosufficienza». E detta così, sembra quasi un’offerta, un’inizio di trattativa. Casini, si sa, vuole dare «continuità alla legislatura» anche perché il suo progetto centrista ha bisogno di altro tempo. Ma non ha alcun interesse ad andare in soccorso del Cavaliere, per di più gratis. «Non ho niente contro Silvio, che considero un amico - ha raccontato l’altro giorno ai suoi - però se pensa che ci accodiamo a questo treno impazzito per salvarlo, si sbaglia di grosso».
Prima serve «una cesura», un segno di cambiamento. Poi si vedrà. In questo senso le parole pronunciate da Fini a Bastia Umbra sono perfettamente sovrapponibili al pensiero seminascosto di Casini, tanto da far pensare a molti osservatori a un sottile gioco di sponda. O a una manovra a tenaglia contro il premier. Del resto è proprio il leader di Futuro e libertà a chiamare in causa gli uomini di Pier Ferdinando: un patto di legislatura è possibile, sostiene, solo se c’è una nuova agenda politica e un patto di governo che coinvolga pure l’Udc.
La conferma dell’intesa arriva proprio da Lorenzo Cesa: «Il presidente della Camera ha posto con grande serietà gli stessi problemi che abbiamo sollevato noi, inascoltati, quando nel 2008 è nato il Pdl». E dunque la via d’uscita, secondo il segretario dell’Udc, è una sola: «A Berlusconi voglio dire una cosa. Il coraggio non si manifesta tanto salendo su un predellino, quanto avendo la forza morale e politica di dimettersi quando il proprio governo tira a campare e riceve pubbliche attestazioni di sfiducia da una parte determinante della sua stessa maggioranza».
I centristi, come dice Rocco Buttiglione, aspettano al varco: «Dopo il discorso di Fini ci sono buoni motivi per attendere e vedere». Martedì prossimo è convocato l’ufficio politico del partito per «esaminare gli ultimi sviluppi». Per entrare in gioco, chiedono di resettare tutto. Spiega ancora Casini: «Noi rispettiamo maggioranza e opposizione e interloquiamo con tutti, ma il nostro cammino è chiaro». Da soli, finché lo scenario non cambia. Racconta un esperto di cose dell’Udc come Paolo Messa, direttore di Formiche ed ex portavoce di Marco Follini quando era vicepresidente del Consiglio: «Da Casini non c’è alcuna preclusione verso Berlusconi, ma per come si è incartata la situazione una collaborazione deve passare per forza da una crisi di governo».
Pesano, nelle scelte del partito, anche i legittimi calcoli elettorali. Leggendo alcuni sondaggi commissionati a due diversi istituti, Casini si è convinto che appoggiare in questo momento Pdl e Lega sarebbe un autogol. La base preferisce un’Udc senza vincoli e boccia alleanze dell’ultima ora. Il settanta per cento degli elettori centristi risponde che è «meglio stare da soli» mentre il restante trenta si divide quasi equamente tra pro-centrodestra e pro-opposizione.
Da qui la linea della «fiduciosa attesa».
Conclude Buttiglione «Il fatto che Fini, invece di staccare la spina, abbia ributtato la palla a Berlusconi è un elemento della dialettica della maggioranza. Aspettiamo. Però finalmente si è aperta una discussione seria e si è capito che il richiamo al programma del 2008 è insufficiente. Ne sono successe di cose, in due anni e mezzo...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.