Lungarotti diventa green con «IlBio»

O rmai anche le grandi aziende enologiche italiane si stanno convertendo al biologico, appannaggio fino a qualche tempo fa di piccole realtà marginali e ora invece realtà solida e diffusa. Al prossimo Vinitaly sarà «stappata» la prima bottiglia biologica di Lungarotti, la più grande realtà umbra con i suoi 250 ettari di vigneto tra le tenute di Torgiano e Montefalco, i suoi 2,5 milioni di bottiglie distribuite su 27 etichette esportate in 50 Paesi del mondo.

La bottiglia ha un nome assai didascalico (IlBio), un'etichetta semplice ed elegante che riproduce i dati catastali della tenuta di Montefalco ed è prodotta nell'annata di esordio, la 2015, il 10mila «esemplari». Le uve sono di Sagrantino, ma questo non può essere indicato in etichetta non rientrando il vino nella docg Montefalco Sagrantino bensì nella igt Umbria. Il vino è fermentato in acciaio con macerazione sulle bucce per 25 giorni e affina per dieci mesi in botti grandi. Il colore è rosso rubino brillante, il naso ricco di spezie, resine e tabacco, la bocca piena ed elegante ma al contempo assai bevibile. Una versione semplificata ma non semplicistica del Montefalco Sagrantino, un vino che generalmente si finisce malgrado «stazzi» 14,5 gradi alcolici.

Quella di Lungarotti è una storia di successo nel panorama enologico italiano. Nata nel 1962 grazie a Giorgio Lungarotti e diventata famosa con il Rubesco, uno dei pochi grandi vini italiani negli anni Sessanta e Settanta, è oggi condotta dalle figlie di Giorgio, Chiara (amministratore delegato) e Teresa.

Il gruppo si pone come vero soggetto di marketing territoriale dell'intera regione grazie ai prodotti agricoli (oltre al vino c'è l'ottimo olio extravergine d'oliva), all'ospitalità nell'agriturismo Poggio alle Vigne (il resort Le Tre Vaselle al centro di Torgiano è attualmente in fase di ristrutturazione) e ai musei del vino (il Muvit nominato migliore d'Italia dal NYT) e dell'olio (il Moo).

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