Cultura e Spettacoli

Luoghi comuni e altre banalità

Maurizio Cabona

da Venezia

Nelle relazioni internazionali, persona non grata viene dichiarato il diplomatico da allontanare dal Paese dove è stato accreditato. Nella Mostra, anch’essa internazionale, di Venezia, Persona non grata viene dichiarato uno dei film favoriti per i premi.
Ieri in concorso, scritto e diretto da Krzysztof Zanussi, questo dramma - una sorta di Umberto D, più la Mercedes con targa CD - usa il titolo impropriamente, perché il senile, etilico ambasciatore polacco (Zbigniew Zapasasiewicz) in Uruguay non perde il gradimento del governo di Montevideo: perde quello di Varsavia, dopo aver perso quello del prossimo e di se stesso. Già intellettuale di Solidarnosc sotto il comunismo, col postcomunismo l’ambasciatore ha infatti visto opportunisti premiati, coerenti emarginati e sentimenti calpestati. Non solo: la moglie, appena morta, lo tradiva con un diplomatico sovietico diventato viceministro degli Esteri di Putin (Nikita Mikhalkov). Infine l’ambasciatore d’Italia (Remo Girone) - la cui moglie (Vittoria Zinny) emula la contessa di Castiglione - gli soffia un affare di elicotteri militari.
Polacco e cattolico, Zanussi dirige qui altri due registi in parti minori: Jerzy Stuhr, polacco e cattolico anche lui, e Nikita Mikhalkov, russo e ortodosso. L’insolita alleanza di questi condottieri cinematografici, vincitori di Leoni, Oscar e premi vari, poteva finire in scontro di personalità, se non di civiltà. Invece ne deriva il miglior film al Lido visto nella prima settimana di Mostra, insieme a Good Night, and Good Luck di Clooney.
In abito bianco di lino, Zanussi cammina sulla battigia dell’hotel Excelsior. Gran signore di ascendenze italiane, parla tante lingue e tutte bene e ciò gli apre porte alle quali non ha bussato. «La diplomazia - mi dice - influisce più della cinematografia sul mondo; perciò ho ambientato il film in quell’ambiente. Il ruolo degli ambasciatori è però molto cambiato. Oggi sono procacciatori d’affari in feluca per le aziende dei loro Paesi. Conosco l’ambiente perché la Polonia non ha molti diplomatici. Così talora affida a me, noto e poliglotta, qualche compito che sarebbe loro». Il suo ambasciatore è dunque un alter ego. Ma Zanussi alterna al pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà: «Nella sconfitta del mio personaggio rappresento anche la mia». Eppure rilancia: «Se l’idealismo è facile da giovani, è indispensabile da vecchi».
Camicia verde di seta, berretto bianco della Marina imperiale nipponica («l’ho vinto a tennis con un ufficiale»), anche nella folla dell’Excesior Nikita Mikhalkov spicca per mole, baffi e sorriso. Zar Alessandro III nel Barbiere di Siberia da lui stesso diretto, da Zanussi ha accettato il rango di viceministro. Con gli occhi verdi, che sorridono anche più dei baffi grigi, mi racconta: «Sto per guidare la riscossa russa contro la Germania nel seguito del Sole ingannatore: il colonnello che interpretavo è sopravvissuto alla deportazione della polizia politica del 1937 ed è stato reintegrato nell’Esercito rosso... ».
Anche in Russia, come negli Stati Uniti, tornano dunque i film di guerra. È tipico delle epoche di tensione: serve a preparare i popoli al peggio. Per Mikhalkov tornare su quel passato d’invasione servirà a «restituire al soldato russo la grandezza di una vittoria diminuita dal fatto che il cinema del dopoguerra ridicolizzava i tedeschi, dunque la minaccia che hanno rappresentato». Minacce di ieri, minacce di oggi. Ecco la sintesi di Mikhalkov dei cattivi rapporti con gli Stati Uniti, che dopo mezzo secolo hanno portato Russia e Cina a manovre militari congiunte sulla difesa della Corea del Nord: «La fine del bipolarismo non è un rischio solo per la Russia. Il marxismo-leninismo mentiva su di sé, ma non sul capitalismo. Sa che cosa diceva Cechov? Che i russi amano il passato, odiano il presente e temono il futuro.

Io anche».

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