Gianni Pennacchi
da Roma
Quanto sè visto ieri per lelezione del presidente del Senato, è più che un sintomo della debolezza dei vincitori del 9 aprile, è la prova di quanto sarà dura e sofferta la loro sopravvivenza come maggioranza almeno in quel ramo del Parlamento, è lannuncio che anche per stanziare soltanto mille euro a favore di una bocciofila romagnola, il governo di Romano Prodi dovrà sudare lacrime e sangue. Forse oggi Franco Marini ce la farà ad insediarsi sullo scranno più alto di Palazzo Madama. Ma quanta frustrazione, quanta sofferenza han dovuto digerire ieri il lupo marsicano e lUnione che lo sosteneva: da superare ogni previsione e riportare ai tempi ormai lontani della prima Repubblica: colpi di scena, franchi tiratori, voti cifrati e segnali di fumo leggibili solo per chi li deve capire. In questi tre scrutini andati a vuoto, lirritazione di Marini che tortura le stanghette degli occhiali - quasi a romperle - non emergeva per quel soffio di voto che gli mancava alla vittoria e che era calcolato, nonostante lottimismo sparso alla vigilia e supinamente amplificato da quasi tutti i giornali. No, pur sapendo che anche con quei voti nulli o taroccati non poteva vincere, lui ed i suoi conoscevano bene le richieste che si nascondevano dietro le schede per Franco Mariti (ma via, come ci si può sbagliare tra una N e una T?), Marini 9/4/33 (la sua data di nascita), e poi tre plateali Francesco Marini che han finito per annullare la seconda votazione dato che i senatori Marini sono due, ma uno si chiama Franco e laltro Giulio. «Marini è stato colpito dai franceschi tiratori», ha sorriso Giulio Andreotti dopo la seconda fumata nera per lavversario. La vecchia volpe è rimasta sempre seduta al suo posto, seconda fila del settore di centro, con le mani posate sul banco. Come una sfinge. Certo non ha vinto, ma sè tolto una gran bella soddisfazione. E con lui la Cdl che lo appoggiava, ormai conscia di possedere al Senato la leva delle forche caudine, e che ha chiuso la giornata irridendo gli avversari: «A casa! a casa!»
Lultimo risultato, quello delluna e passa che formalmente sostituiva il secondo scrutinio annullato, ha dato a Franco Marini 161 voti, 155 ad Andreotti, 5 schede bianche e una annullata dopo un lungo tira e molla perché indicante una Francesco Marini e laltra solo il cognome, Marini. Replicando così i risultati e la tregenda dei primi due scrutini, ove il regolamento prescrive 162 voti per vincere, e che il presidente provvisorio, il pio Oscar, ha registrato rispettivamente alle 14.35 e alle 19.40. Questultimi non li ha nemmeno letti, preferendo annunciare lannullamento dellintera votazione e la sua ripetizione mezzora dopo, poi dilatata alle 22 per dar modo a chi già se ne era andato a casa di far rapido ritorno. «Questa non sarà la terza, ma la ripetizione della seconda» ha scandito Scalfaro togliendo la seduta. Per la terza infatti, ove è sufficiente la maggioranza dei presenti, il regolamento rinvia allindomani, ed una notte intera rischia di rivelarsi troppo lunga e ingovernabile. Tantè. Il primo risultato ha registrato 322 votanti, cioè tutti gli aventi diritto, che son passati sotto la tenda e depositato la loro scheda nellurna di vimini tutti in fila e ordinatamente, taluno lentamente e assistito dai commessi per via degli anni, ma senza bisogno di una seconda chiamata. Franco Marini ha preso 157 voti, Andreotti 140, Roberto Calderoli 15 (due più dei senatori leghisti), uno per il forzista Giulio Marini (glielo ha dato Lucio Malan), 5 schede bianche e 4 nulle. Di queste ultime, due erano per il Marini con la T e la data di nascita, una per Franco Marino, ed unaltra ancora per Marini senza nome. Quattro schede palesemente partorite nel centrosinistra, che pur sommate alle 157 pulite del suo candidato, lo fermavano a quota 261, un voto in meno del necessario come previsto. Oltre ai sei senatori segretari, i più giovani tra le matricole secondo regolamento, che conteggiavano sul banco di presidenza, a centrodestra teneva i conti Roberto Formigoni e a sinistra Gavino Angius, seduto proprio sotto Marini. Un breve ma soddisfatto applauso alle spalle di Formigoni ha annunciato il primo match a favore della Cdl, anticipando lannuncio di Scalfaro. Andreotti è rimasto impassibile, Marini è uscito scuro in volto.
Lapplauso sè ribaltato a sera nel secondo scrutinio, perché Angius aveva sommato ai 159 voti di Franco Marini anche i 3 andati ad un inedito Francesco Marini, portando il risultato al fatidico 162. Andreotti era intanto salito a 155, 3 le schede bianche, una a Calderoli (gli altri voti leghisti, come daccordo, eran confluiti su Andreotti) ed una nulla, per tal Girfatti che pare essere un giovane forzista non eletto. Lo san tutti, che Marini si chiama Franco e non Francesco, il Velino ha subito ricordato come egli stesso poco tempo fa avesse precisato ai giornalisti di chiamarsi Franco, «festeggio lonomastico il 5 giugno, per San Franco da Assergi». Più tardi un po tutti, anche nel centrosinistra, hanno riconosciuto che quei tre voti erano «a chiave», messaggi raffinati in stile con i precedenti voti nulli. Ma sul momento il centrosinistra ha provato ugualmente a strappar la vittoria, e si è accesa una vivace disputa tra i segretari, 4 di maggioranza (Simonetta Rubinato della Margherita, Martino Albonetti di Rifondazione, Marco Filippi della Quercia, Fabio Giambrone dipietrista) e 2 di opposizione (Alessio Butti e Achille Totaro ambedue di An). Data la provvisorietà del collegio, occorreva però lunanimità sulla decisione, e in particolare Butti, che viene da Montecitorio, sè fatto in quattro per resistere e sostenere che Francesco non è Giulio ma nemmeno Franco. Scalfaro, aspettava. Lemiciclo dopo un poco ha preso a rumoreggiare, «basta!», «via il telefono» allindirizzo del segretario Albonetti che sè giustificato spiegando che stava chiamando la fidanzata. Improvvisamente il Senato prendeva vita e fuoco, finalmente conscio che non si trattava più e semplicemente di una «battaglia tra due vecchi democristiani». Finché Scalfaro sè consultato col segretario generale Antonio Malaschini, partorendo l«annullamento» dello scrutinio.
Gianni Pennacchi