È un fatto che oggi molti giovani si sentano truffati dallo Stato a causa del sistema pensionistico. Questo perché, calcoli alla mano, si sono resi conto con sbigottimento che una volta andati in pensione se mai ci andranno riceveranno indietro molto meno di quanto hanno versato, per effetto del meccanismo di calcolo contributivo e della tarda età a cui verrà loro concesso di mettersi a riposo. In breve: hanno capito di essere stati raggirati. Chi investirebbe 100 con la certezza di riavere indietro 80 o anche meno? La verità è che, per le giovani generazioni, quelli che vengono definiti «contributi previdenziali» altro non sono che tasse mascherate (non così per chi è andato in pensione col retributivo: nel suo caso il versamento dei contributi ha rappresentato un investimento più che fruttifero).
Tutto questo è profondamente immorale. Lo Stato non può comportarsi in questo modo e per di più fingere che le cose non stiano così. Molti intervengono sul tema delle pensioni invocando una maggiore equità o un maggior rigore. Ma nella quasi totalità dei casi si tratta di soggetti che rappresentano meri interessi di parte. Quando i sindacati parlano di equità non sono sinceri. In nessun caso parola è più fuori posto che nel loro. I sindacati rappresentano gli interessi dei propri iscritti. Non è una colpa, sia chiaro, ma semplicemente la loro ragion dessere. Lo stesso dicasi dei partiti politici, che rappresentano gli interessi dei propri elettori, nientaltro. Ma arrivo al punto. Se volessimo agire davvero secondo giustizia, dovremmo restituire alle nuove generazioni ciò che è stato loro sottratto: la verità e il futuro. E per prima cosa dovremmo offrire loro la possibilità di scegliere il proprio destino, introducendo un nuovo sistema previdenziale che consenta, raggiunta letà pensionabile, di «aderire» o «non aderire» al trattamento pensionistico. Chi opterà per la seconda soluzione rinuncerà a ogni forma di pensione ottenendo in cambio la restituzione dei contributi versati durante lintera vita lavorativa, ovviamente rivalutati e comprensivi degli interessi maturati: proprio come se si fosse trattato di un prestito concesso allo Stato. Questa sarebbe vera equità: offrire una libera scelta tra un sistema pensionistico in molti casi non più vantaggioso e la piena disponibilità dei propri diritti. Proviamo ora a immaginare cosa potrebbe accadere a chi decidesse di rinunciare alla pensione. Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che il signor X abbia versato in 40 anni lavorativi 10.000 euro di contributi lanno, per un totale di 400.000 euro. Con questi soldi, rivalutati e fruttiferi, egli potrebbe per esempio acquistare degli immobili, darli in locazione e in tal modo assicurarsi la sua «pensione»; senza contare il valore dei suddetti immobili, di cui si ritroverebbe proprietario e che lascerebbe in eredità ai figli, se ne ha.
Monti, o i futuri governi, saranno chiamati inevitabilmente a confrontarsi di nuovo con la questione delle pensioni, perché allo stato attuale nulla è stato risolto, salvo introdurre dei palliativi.
*editore e scrittore
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