Il made in Italy tra criticità e ritorni di «stile»

di Antonello Mosca

Apre oggi (fino al 14 aprile) la grande manifestazione milanese con ben 2.500 espositori, le biennali Euroluce e Salone Ufficio e, come sempre, il Salone Satellite. Secondo il presidente di Cosmit, Claudio Luti, «la chiave del successo è rendere il Salone il luogo per eccellenza dell'innovazione. Per mantenere la leadership la nostra esposizione dovrà continuare a essere sinonimo di novità e vetrina di assolute anteprime. Presentare prodotti nuovi, infatti, non solo può emozionare il pubblico, ma anche motivare la forza vendita». Emozionare e motivare.
Ma il sapore e il succo di questa manifestazione si prestano a non pochi interventi che per gran parte vengono a contraddire l'ufficialità e presentano la realtà di una situazione non certo brillante. Che il mercato mondiale abbia subito e subisca una forte frenata è fuori di dubbio. Che la produzione delle diverse componenti esposte presenti grandi debolezza e ripetitività è una seconda realtà. E che l'inutilità di una ricerca esasperata non dia frutti di rilievo ben manifesti, è altro fattore certo.
L'evento, è inutile nasconderlo, presenta non molti elementi positivi, che difficilmente si possono tradurre in motori di spinta e di successo sui mercati internazionali. Le «emozioni» cui accenna Luti, si fa fatica a individuarle in un mare di prodotti costretti a rinnovarsi ogni anno nella speranza d'acquisire nuovi clienti. Proprio in questo tentativo di rinnovamento, che da troppo è poi alla base del Salone stesso, le creazioni presentate o si rifanno ancora una volta a prototipi del passato o cercano disperatamente di creare «nuove mode», con risultati che a volte lasciano sconcertati, perché troppo limitati dal concetto di novità a tutti i costi. Da non sottovalutare è poi la staticità del sistema produttivo: la stragrande maggioranza delle aziende, quelle che dovrebbero aprire strade fino a oggi sconosciute e stupire il palcoscenico internazionale, manipolano le opere di grande architetti del passato con quelli più modesti di creatori di secondo livello, con il risultato di una serie di pezzi che non saranno certo in grado di dare la grande sveglia al mercato, assillato da una crisi che obbliga tutto il settore a guardare in maniera quasi disperata agli architetti vicini agli arabi, cinesi e multinazionali. Altra nota che va fatta è quella sulla staticità del sistema conduttivo aziendale: troppe imprese sono in mano, da tanti anni, a personaggi che s'affannano a sentirsi ancora guerrieri in prima fila,che finiscono col circondarsi di creatori sempre più modesti. Il cambiamento vero deve nascere dalla base, che però appare oggi davvero logora.

Una nota felice però c'è, ed è quella del mobile in stile, quello trascurato per anni da nomi anche grandi, che oggi, nelle sue espressioni più belle, rappresenta una voce altamente significativa nel bilancio delle esportazioni del settore, arrivando davvero in ogni parte del mondo.

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