Sintitola Il lungo fiume di sangue (ed. Coppola, pagg. 304, euro 12,50) il libro del giornalista Giuseppe Incandela che ripercorre la storia della mafia e i delitti dellultimo quarto di secolo. «Incandela - scrive nella prefazione lavvocato Michele Costa, figlio del procuratore della Repubblica Gaetano Costa, assassinato da Cosa nostra - ci dà della mafia unimmagine più complessa, e credo, più aderente alla realtà».
Uno dei «pezzi forti» del libro, che contiene molte interviste, contributi e documenti, è in particolare la trascrizione fino ad oggi mai diffusa di un dibattito tenutosi a Palazzo Trinacria il 27 marzo 1992, poche settimane prima della strage di Capaci, al quale parteciparono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mancavano allora pochi giorni alle elezioni politiche del 5 aprile e a Palermo era stato appena ucciso lonorevole democristiano Salvo Lima. Illuminanti sono le parole che disse allora Falcone: «Da sempre, da quando mi occupo di problemi di mafia, mi è capitato di sentirmi dire che trattasi di un problema politico, che mafia è uguale a politica, che la risoluzione del problema mafia comporta un coinvolgimento di tutto lo Stato e della società civile e che quindi polizia e magistratura non saranno mai in condizione di risolvere da sole questo annoso problema. Devo dire non che questo non sia almeno in buona parte vero, ma è un ragionamento che da sempre ho ritenuto totalmente improduttivo di effetti; ragionamento che non porta in nessun posto e soprattutto può costituire, e molto spesso per lunghi tempi ha costituito, un alibi per giustificare la totale inerzia di chi avrebbe dovuto e potuto agire. Cosa intendo dire? Io vorrei - aggiungeva Falcone - rovesciare langolo visuale, perché se è vero che la mafia è anche un problema economico e sociale vorrei che non si dimenticasse che è innanzitutto un fatto criminale.
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