A nessuno scrittore si addice la vicenda di Orfeo come a Claudio Magris. E ci si doveva attendere che, prima o poi, la sua scrittura si sarebbe prodotta nella lunga perorazione, insieme giustificazione e caparbio miserere, che, improntata sul mito orfico, costituisce il felice corpo di questo breve testo-racconto, ma anche monologo, in quanto esito di un prorompere, della spaccatura di un silenzio spesso voluto: Lei dunque capirà (Garzanti, pagg. 60, euro 9,50).
Magris è luomo delle lunghe attese. Fin dal suo esordio come giovane saggista (ne Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna e in Lontano da dove) si poteva attendere la comparsa del narratore. Ho parlato, altrove, di «bisogno dintemperanza», e spesso, a tu per tu con Magris, di «disincanto»: parola che andò a formare il titolo di una sua raccolta di saggi e interventi, e che in lui acquista un supplemento di senso, come se il disincanto fosse anchesso, prima di tutto, un bisogno profondo.
Anche qui, come ne La mostra, il protagonista - un poeta - ha due volti: quello ufficiale, in divisa, capace di destare la stima dei cattedratici e linfatuazione delle giovani lettrici, e quello che, smessa la divisa, si muove su un terreno molto più incerto, che io chiamo «la parte nera» dellio. Ossia quella parte che non sopporta conciliazioni. Esiste un nero che non ci regalerà luci lontane, non differenze raffinate, ma sarà solo nero, quello che cancella. Rispetto a quel nero esisterà soltanto la voluttà della scomparsa, dellannichilimento. Oppure, lo spasimo di una nascita.
Magris ha bisogno di guardare dritto il volto dellinconciliabile. A parlare, qui, è una donna, la moglie del poeta. Lei, che aveva fatto di lui un uomo, vincendo certe sue mollezze, raddrizzandolo nella dignità, è mancata, un veleno lha vinta. Magris descrive il regno dei morti come un ricovero, ma non cè metafora, la trasparenza è immediata, è della morte che si parla. Questa donna si rivolge a un fantomatico, invisibile Presidente del ricovero per spiegargli il motivo per cui ha rifiutato la più inaudita delle grazie: quella di poter tornare fra i vivi. Il suo uomo, infatti, aveva trasformato il proprio dolore in unenergia così potente da indurlo a sfidare le severissime leggi dellospizio e penetrarne i recessi per riavere lamata. Lurlo damore delluomo disperato, ferocemente autobiografico, è uno dei punti-cardine, anche emozionalmente, del racconto.
Ma lei non andrà, per alcune buone ragioni fondate sulla dolorosa scoperta di una sostanziale uguaglianza tra il regno dei vivi e quello dei morti. Potrà lamore di lui sopravvivere alla lancinante e non soddisfacibile curiosità di sapere? Lei, da fine, non si trasformerà (insensibilmente) in mezzo? Un uomo può compiere grandi gesta, ma non potrà vincere linesorabilità del decadimento.
Come tutti coloro che giungono alla narrativa dopo anni di saggistica, anche Magris trova la sua materia e le sue immagini nella letteratura. Già Savinio sconsigliava di andare a recuperare i cari estinti. Qui cè, però, uno scatto ulteriore. Due sono la colonne del testo. La prima è il dolore invincibile delluomo, la seconda è il rifiuto della donna in nome di una possibile delusione: non si può tornare dallAde per dichiarare che luniverso è come sembra, cioè banalmente opaco. Quelluomo può urlare la sua richiesta al ricovero perché il dolore mostra con evidenza lesistenza di una seconda faccia delle cose, così che luomo si domanda: ma qual è, allora, la realtà?
Lapparire delle cose si rivela come un segno: enigmatico, forse indecifrabile, ma segno. Ma la donna, da parte sua, ha buone ragioni per negare il segno. Infatti lesperienza del limite corporale è la stessa, tra le ombre come tra i vivi. Siamo fatti di carne o di fumo, poco importa: il limite è invincibile. Solo nella Resurrezione di Cristo si intuisce - è la sola comparsa di questo tema in tutta la letteratura universale - unaltra potenzialità per il corpo: il limite non come restrizione, ma come punto di dilatazione. Le apparizioni di Cristo risorto sono un unicum mai riscontrato in altre pagine. Lì il corpo diventa, sensibilmente, unaltra cosa.
Ma, al di fuori di quellunicum, la dialettica tra linevitabile speranza e linevitabile disincanto non conosce alcuna conciliazione.
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