Stefano Filippi
nostro inviato a Brescia
Se nè accorta una delle sue prof. Aveva notato che quella mattina Nura non riusciva a stare ferma, che si agitava sulla sedia, che era tormentata da non si sa cosa. Alla fine della lezione linsegnante si è avvicinata alla ragazzina egiziana, poche parole sono bastate per vincerne la ritrosia. Anche perché Nura aspettava soltanto di potersi confidare con qualcuno. Unondata di racconti drammatici ha abbattuto la diga di riservatezza che la studentessa musulmana aveva eretto per difendere sé, la sua famiglia e la sua religione. Storie di umiliazioni, maltrattamenti e sevizie, di una educazione rigidissima secondo i dettami dellIslam. Storie di una quindicenne che vuole vivere la vita di tutti i suoi coetanei e di una madre che invece la punisce crudelmente per essere una «cattiva musulmana». Troppo occidentale.
Quello che impediva a Nura di stare seduta composta era soltanto lultimo episodio. La ragazza era tornata da una gita con la scuola. Indossava un paio di jeans a vita bassa, come tutti gli adolescenti di oggi, e la maglia lasciava scoperto un lembo di pelle. Intollerabile, per la madre. Era scoppiata una lite, uno dei tanti battibecchi che da tempo inaspriscono i rapporti tra le due. E la donna ha deciso di dare a Nura una lezione che non avrebbe potuto cancellare. Ha preso un coltellaccio dalla cucina, lha arroventato sul fuoco e con quel ferro ha marchiato la figlia sul fianco. Il referto medico stilato al pronto soccorso degli Spedali civili di Brescia parla di ustione di secondo grado sulla parte alta del gluteo destro eseguita con un corpo contundente incandescente lungo 15 centimetri e largo tre. Sfregiata con una grossa lama rovente, marchiata come una bestia, per punizione. Lepisodio risale a otto-nove giorni fa. Nura non ne aveva fatto cenno a nessuno e non ne avrebbe parlato se linsegnante dellistituto professionale Piero Sraffa, la scuola che frequenta a Brescia, non fosse riuscita a conquistarsi la sua fiducia. Da sola la ragazza non si sarebbe mai rivolta a un ospedale per farsi medicare. E ha accettato di rompere il silenzio non perché condannasse la madre ma solo per paura, perché quella volta la donna aveva davvero esagerato. «Aiutatemi, fatele capire che è troppo nervosa», ha ripetuto a unassistente sociale e unagente della questura.
A loro ha detto che non voleva più tornare a casa, in quelle mura diventate prigione e ha riferito vicende spaventose. La mamma non vuole che Nura parli con i ragazzi, neppure con i compagni di scuola, neppure per telefono. Se disobbedisce, la picchia. «Con le mani e a volte con il manico della scopa - ha precisato -. Mi proibisce di andare a letto e mi costringe a stare in ginocchio, con mani e piedi legati con i cavi elettrici». Se la sorprende al telefono con un amico, le strappa lapparecchio di mano e la picchia.
Quando le trovò un numero di cellulare segnato sul diario, strappò la pagina e le gridò addosso che non era una buona musulmana e che frequentare i ragazzi era proibito. Un giorno era venuta a sapere che la figlia era rimasta in città a passeggiare con un amico: un giro in un grande magazzino, una sosta al bar per un succo di frutta, un piccolo ritardo al rientro. La madre la prese a sberle e la minacciò con un coltello, bucandole il maglione e lasciandole una piccola cicatrice sulla spalla, poi la trascinò da un ginecologo e si tranquillizzò solo quando ebbe la certezza che la giovane fosse ancora vergine.
La ragazza, giunta in Italia un paio danni fa, abita con la madre e un fratello di ventanni in un piccolo appartamento alla periferia Sud di Brescia. Il papà vive in Egitto con unaltra famiglia, ma viene spesso in Italia per affari e per trovare i figli. La squadra mobile di Brescia lo sta cercando per ascoltarlo. E si stanno cercando anche alcuni conoscenti della famiglia davanti ai quali - così ha riferito Nura - la madre avrebbe infierito su di lei per umiliarla.
Da una settimana, dopo la confessione, la quindicenne vive lontana dalla famiglia per ordine del tribunale dei minori che ne ha disposto laffidamento durgenza a una struttura protetta, un istituto, in attesa che le indagini siano completate.
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