Oscar Eleni
da Milano
Adriano Leite Ribeiro diventa il drago nell'inferno rossonero, lui porta il fuoco, i due gol e mezzo che decidono una sfida tormentata, quello che toglie tutti i pesi dalle spalle di Mancini e Moratti e li lascia su quelle di Carlo Ancelotti e Adriano Galliani. Adriano il personaggio anche se non è stato davvero così, però per il Milan sentirselo dentro la bolgia è sempre stato un tormento e lui, con un rigore, una punizione che ha stracciato i guanti a Dida liberando Martins, poi con quella ricerca nella zona paludosa dove i rossoneri piangono dopo quasi ogni calcio piazzato, ha sistemato una storia che durava da anni e ora lascia il Milan con il singhiozzo, mentre l'Inter va alla ricerca della striscia dove cammina chi comanda.
Dicono che nella vita di un derby, uno aspro e con tante ferite lacero contuse come ieri sera, viene, prima o poi, un momento nel quale se non ci sono finestre nella difesa avversaria, ti tocca sfondare le pareti. Il trapano lo ha preso in mano prima l'arbitro Messina, poi i giocatori. Mani grandi, mani prensili, mani che vanno dove non dovrebbero, gomiti che toccano dove non potrebbero, teste che non si sfiorano per carezze, allora i più truci se la cavano, gli altri incassano.
Nell'atmosfera dove la Juventus ha costretto le due contrade milanesi ad ammettere che non avevano più niente da nascondere, le facce erano quelle da derby senza possibilità di dividersi nulla: l'ordine, sul faccione di Ancelotti, su quello diabolicamente angelico di Mancini, era semplice, la notte nata per costruire la propria felicità sull'infelicità altrui. Compattezza di curva, fantasia costosa, anime in pena, sopportando di tutto. Il Milan ha un'emergenza difensiva, prova con Kaladze al centro e Martins gli apre una finestra sull'arcata sopraccigliare, ma il gommolo nigeriano diventerà pantera scoprendo che Dida ha perduto la reattività, senza riuscire a proteggersi sulla bombarda di Adriano.
Sarà proprio Oba Oba a far cadere Nesta nella prima trappola, chiamiamola sfortuna per un difensore che anche quando regala una punizione ad Adriano non sembra davvero lontano da quello sofferente del riscaldamento, quando cercava aria che non passava in una trachea congestionata, tormentato nella ricerca di un filtro che impedisse all'aria fredda di farlo soffrire,
Adriano, già, lui. Lo cercano, lo pensano, lo vogliono, ma il mandingo ha dentro qualcosa che non riesce a dominare, perché la sua anima ha due facce, dolcissimo con gli altri brasiliani del Milan prima di cominciare, durissimo con la palla quando gli arriva fra i piedi, però è tale la furia che i due, lui, il centroavanti dal piede atomico e quella sfera, non riescono a parlarsi come dovrebbero. Però il rigore gli permette di credere che la sua vita nel derby sarà bellissima. In lui noti quel qualcosa di speciale che vedi anche in Andreino Shevchenko, due prodi Achille amanti di battaglie dove soltanto loro contano davvero,
Il Milan vorrebbe scatenare Ricardo Kakà, ma quello è braccato, allora deve rifugiarsi nella transizione del gioco e quando trova la punizione che poi porta ad un altro rigore da berci, urli, capelli strappati, scene da posteggio in seconda fila anche da parte di quelli che commettono l'infrazione, ecco l'occasione per far baciare Shevchenko dalla sua luna di artista che non sempre indossa gli abiti da lavoro.
Il pareggio non basta a nessuno, cambiano i modi di affrontarsi, resta il furore, la voglia di far notare al preside Messina che i cattivi stanno sempre dall'altra parte.
Uomini contro, panchine che liberano leoni vecchi e nuovi, la curva interista prova a vedere l'effetto che fa un Bobo Vieri in maglia rossonera. Difficile digerire tutto, soprattutto quando l'olandese Stam s'inventa una sospensione da touche del rugby, facendosi sostenere in aria dalle spalle di Adriano, andando davvero in alto, senza preoccuparsi dove andrà ad atterrare, il suo desiderio è trovare la palla, la porta, la rete. Ci riesce.
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