LA MANO DI GIÒ PONTI La sedia «Superleggera» contro l’eccessiva pesantezza di oggi

L’altrieri (sì, scritto proprio così, «l’altrieri», bel titolo del primo libro dello scapigliato milanese d’elezione Carlo Dossi, e chissà se Adelphi non lo ristamperà in edizione singola, per Natale dell’anno venturo) c’è stata la presentazione allo Iulm del corposo saggio Identità Italiana 1861-2011 di Roberto Delera e Gabriele Miccichè (Edizioni Iulm, in due volumi fuori commercio ma facilmente reperibili dai segugi bibliofili anche meno ostinati). Di che si tratta? Potremmo definirlo un’«etimologia per immagini dell’Italia Unita»: dai quadri garibaldini di Gerolamo Induno ai fotogrammi di Gomorra di Matteo Garrone, fino agli scatti fotogiornalistici osé per documentare sui settimanali di gossip il «velinismo in politica».
A presentare il saggio c’erano, oltre al rettore Giovanni Puglisi, il designer Fabio Novembre, il musicologo Quirino Principe, il critico cinematografico Gianni Canova. Con questi ultimi tre - le cui carriere sono intrecciate al capoluogo lombardo - abbiamo tentato la stessa operazione del libro, ancora più drastica: riassumere tutta Milano in un solo oggetto di design, una sola musica, un solo film.
«Scelgo volentieri - ci dice Novembre - un unico oggetto di design per sintetizzare la città: è la sedia Superleggera di Giò Ponti per Cassina, datata 1957. Un chilo e settecento grammi. In un momento di pesantezza, con l’Italia che camminava in salita, Ponti dava voce alla voglia di volare, a una leggerezza non solo fisica ma teorica. La stessa tensione che vorrei animasse i milanesi di oggi. Senza contare che la leggerezza è uno dei sei memo di Italo Calvino per questo millennio». Già, ma cosa bisognerebbe togliere a Milano, per «alleggerirla»? «Le abitudini stantie, le polemiche - risponde Novembre. Tipo l’ultima sul blocco del traffico: sembrava di essere tornati ai tempi di Henry Ford, a quando l’auto è stata inventata e diffusa. Chiaramente dobbiamo ripensare la nostra mobilità. Idem con gli edifici: meglio abbattere il vecchio e ricostruirlo con altri principi, piuttosto che cementificare. Milano è l’unica pocket metropoli del mondo: piccolissima, in rapporto all’energia che propaga. La si può attraversare a piedi. Anche con una Superleggera in spalla. Lasciamola così».
Il film-riassunto della città per Gianni Canova - direttore della celebre rivista di cinema Duel (poi Duellanti) e preside della facoltà di Comunicazione allo Iulm - è Miracolo a Milano di Vittorio de Sica (1951): «Perché racconta - ci dice Canova - la grande apertura di Milano nel Dopoguerra: si vedono le baracche dei poveri punteggiare la periferia di Lambrate e allo stesso tempo traspare la capacità dei milanesi di guardare al futuro. E persino quella di sognare di poter volare, un giorno, a cavallo di una scopa su piazza del Duomo. Ottimisticamente, è il film di Milano».
Stessa atmosfera la si ritrova nella prima scelta del musicologo Quirino Principe: «Per rappresentare Milano scelgo le canzoni di Giovanni D’Anzi, godibili persino da un ragazzo di oggi: ho fatto la prova con mia nipote diciottenne, suonandole al pianoforte. Ma voglio anche una seconda possibilità, forse più mia: per me la Milano moderna è tutta riassunta in una sezione ben precisa della Messa di requiem di Giuseppe Verdi, Hostias et preces». Come dire, una scelta d’élite. «Tutt’altro - commenta Principe - poiché quella musica nasce dalla melodia di un venditore di pere cotte, che seconda la testimonianza di uno strumentista del Teatro Regio di Parma, Verdi udì dalla strada mentre si trovava in un negozio di casalinghi a Parma e che annotò per l’Aida. Gli piacque così tanto che la usò tale e quale nella Messa di requiem, suonata a Milano il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, il 22 maggio 1874, in un luogo milanesissimo, la chiesa di San Marco. È diventata così un must della milanesità. Ascoltandola, io vedo, anche quando mi trovo altrove, il cielo di Milano, che grazie a queste note conoscevo così prima di venirci ad abitare.

Un pezzo musicale con in sé le tracce di un percorso dal popolare al nobile e che, ascoltato oggi, mi auguro porti la città verso impulsi meno utilitaristici».
Ora - commenterebbe il filosofo Gaston Bachelard - in tutte queste tre scelte c’è l’elemento dell’aria, del volo, del cielo. Accade quando le cose a terra - in città - vanno male. Povera Milano?

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