da Pesaro
Una volta, a fare rumore, erano gli spettacoli insoliti. Ma ormai le «riletture», le «provocazioni» sono divenute di prammatica, a un punto tale da rappresentare quasi la routine. Non sorprenda, dunque, che lo spettacolo che maggiormente sembra aver convinto al Rossini Opera Festival di questanno, sia quello che meno si è distinto dal punto di vista della rottura e dellinnovazione. Dopo una Ermione attualizzata senza capo né coda, e un Equivoco stravagante tanto moderno quanto modesto, è toccato a un quieto, convenzionale, tradizionalissimo (ma eccellente) Maometto II cogliere il maggior numero di applausi ed entusiasmi.
Perché? Non si tratta di conservatorismo operistico: è che le «riletture» funzionano solo se condotte con gusto e talento teatrale - altrimenti risultato arbitrarie, insopportabili. Mille volte meglio, allora, un allestimento come quello della splendida opera seria rossiniana diretta da Michael Hampe: dove lepoca è semplicemente quella originale - il XVI secolo -, lambientazione nientaltro che quella prevista dal libretto - una rupestre fortezza veneziana nelle nitide scene neoromantiche di Alberto Andreis -, gli abiti solo quelli storici: armature ferrigne per i veneziani, casacche rosso sangue per i musulmani, nei costumi di Chiara Donato - e tutta la regia quella logica, precisa ed elegante di un artista che sarà magari carente nei voli di fantasia, ma ineccepibile in tutto il resto. Il risultato è oleografico, ma volutamente. Belle pose melodrammatiche nei singoli, eccellente dinamismo nei coristi (un coro che sa recitare: ecco la prova del nove per il vero regista), atmosfere corrusche e lunari grazie alle suggestive luci di Franco Marri.
Fin qui lo spettacolo. Quanto al magnifico spartito, basti dire che, sotto la corposa direzione dorchestra di Gustav Kuhn, hanno entusiasmato star quali Daniela Barcellona e Michele Pertusi: voce da brivido ed emozioni da urlo la prima; timbri pastosi e autorevolezze espressive il secondo.
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